- casa campidanese
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castello Siviller
Il castello
Foto di Guido Costa - collezione archeologica Venturino Vargiu
- gente antica
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Una via del paese
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Il cortile con il forno e la lolla
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Su corrazz’e ananti
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Sa lolla
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Sa lolla de su pottabi
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Su ziru
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Sa salla
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Sa salla
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S’apposent’e croccai
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Su comò
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Il castello
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Castello Siviller
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Cortile interno
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Cortile interno
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Portale di ingresso
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Portico
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Veduta posteriore
Foto di Colette Podda600450
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Probabili amuleti in materiali litici e ceramici
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Punte di freccia in ossidiana
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Punte foliate in ossidiana
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Vaghi di collana di conchiglia
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Accettina in pietra nera
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Ceramiche cultura Ozieri
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Pendente in selce
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Pendenti in pietra
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Peso da telaio cultura Ozieri
Foto di Venturino Vargiu496600
- images/morfeoshow/temp_upload/01Sposi19040.jpgSposi 1904 Archivio fotografico privato428600
- images/morfeoshow/temp_upload/02Suistiriantigu.jpgSu istiri antigu Archivio fotografico privato393600
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Costume giornaliero
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Sant’Efisio anni Trenta
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Sant’Efisio anni Trenta
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Sant’Efisio anni Trenta
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Sant’Efisio anni Trenta
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Sant’Efisio anni Trenta
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Sant’Efisio 1938
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Sorelle Marongiu
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Tzia Maria Podda
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Tzia Prettina Abis
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Bambina con maitta
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Famiglia Tocco
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Mariuccia Caboni
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Mariuccia Caboni
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Raffaele Eriu
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Donna in costume
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Donna in costume
Foto di Venturino Vargiu366600
Villasor
Villasor è un centro agricolo e commerciale, dal clima tipicamente mediterraneo, situato nella feconda pianura del Campidano, a ventisei chilometri dal capoluogo sardo; i suoi territori, completamente pianeggianti e in massima parte bonificati ed irrigati sono tra i più fertili dell’Isola e sono coltivati soprattutto a cereali, carciofi e pomodori. Nei primi anni Sessanta si effettuarono delle ricerche petrolifere senza esito e si constatò che il sottosuolo era costituito da depositi di sabbie e ghiaie. Diversi corsi d’acqua attraversano Villasor, ma solo il Flumini Mannu, chiamato anche Riu Mannu, è perenne e di una certa portata. Il Monte Zippiri, alto 891 metri e sede fino agli anni Sessanta di una miniera, è l’unico rilievo nel territorio di Villasor.
Villasor, anticamente chiamato Sorres o Sorris e anche Serris, appare per la prima volta in una carta geografica della Sardegna nel 1550, nell’opera di Sebastiano Münster Cosmographia, e accanto al nome vi è raffigurato anche un castello. Con la dicitura Villa Sorres appare, inoltre, insieme al castello, nella carta Chorographica, Descriptio Provinciarum et Conventum Fratrum Minorum s. Francisci Capucinorum del 1649 e oggi conservata a Washington nella Library of Congress. Sorres dovrebbe derivare dal nome latino horreum, che significa granaio, in riferimento alla grande produzione di grano per il quale venne scelto come luogo di raccolta.
Un’altra ipotesi farebbe derivare Sorres dalla radice greca sor che richiama il personaggio bizantino Spreca vissuto nell’abitato; ciò è risaputo da un reperto archeologico di pietra inciso in lingua greca rinvenuto nella Chiesa bizantina di Santa Sofia, che andò in completa rovina nel XIX secolo, e custodito nel museo archeologico di Cagliari.
Nel XVIII secolo, Villasor, assume l’attuale denominazione; infatti nella carta edita intorno al 1720 da Domenico Colombino è indicato come Villa Sor. Infine nel 1777 il suo nome è Villasor.
Tuttavia recenti ritrovamenti archeologici in tutta la zona del territorio sorrese danno testimonianza di un’origine più arcaica risalente al periodo prenuragico; infatti Villasor fu scelto come luogo di insediamento sin dal Neolitico, come testimoniano le tracce di un villaggio risalente al periodo della Cultura di Ozieri, in località Cresia is Cuccurus.
Al periodo nuragico risale il nuraghe Su Sonadori che prende il nome dalla collina in cui è stato rinvenuto e sulla quale il soffio del vento provoca un particolare suono. Inoltre, testimonianze romane sono state rinvenute in località S’Aqua Cotta.
Il paese, con le sue belle case campidanesi, vive attorno alla chiesa parrocchiale intitolata a San Biagio e alla Casa Fortezza o Castello Baronale Siviller, eretto nel 1415 da Giovanni Siviller, al quale la Corona di Aragona concesse il feudo di Villasor. Degne di nota sono anche le chiese di Sant’Antioco, Santa Maria e Santa Vitalia nella periferia del paese.
Villasor ha anche un richiamo internazionale per il vicino campo di Aviazione della NATO con sede a Decimomannu. Vi è inoltre, in località S’Aqua Cotta, un’antica sorgente termale da cui sgorga acqua calda e sede attualmente dello stabilimento dell’acqua Sandalia e Giara. Un’altra sorgente idrica presso cui sorge uno stabilimento è la fonte San Giacomo, presso il quale viene imbottigliata l’acqua Federica.
Dal dizionario Angius/Casalis:
«In questo territorio evvi una sorgente di acqua minerale e termale detta Acqua cotta. Presso ad un’eminenza in cui termina la catena delle colline di Guttur-e-Forru scaturisce a larga vena un’acqua limpida e calda, la quale dopo breve tratto va a mescolarsi con quelle d’un vicino rio. Il Fara fa menzione di questa sorgente, e ne loda le sue virtù medicinali. La sua temperatura si mantiene costantemente al 32° R. […]
Vi sorge un castello che venne fabbricato nell’anno 1415: di esso si fa menzione in una pergamena esistente nell’archivio arcivescovile di Cagliari, nella quale leggesi, che Pietro, arcivescovo di questa città, col suo capitolo concedeva a Giovanni Sinelleris, signore della spopolata Villa di Sorres, la facoltà di fabbricare sui ruderi dell’antica chiesa parrocchiale un castello in difesa dei nuovi abitanti che questi voleva stabilirvi. Da un tal documento si riconosce, che il luogo di Sorres, sulle cui rovine sorse dappoi Villasor era stato ridotto a deserto per l’accanita guerra che da oltre 50 anni ardeva tra gli arborei e gli aragonesi.»
La devozione alla Vergine e ai Santi è assai diffusa nel paese di Villasor e le feste tradizionali perdurano ormai da secoli. Fra le feste più belle e particolarmente sentite dagli abitanti del paese c’è quella della Vergine della Candelora che si celebra il 2 febbraio e ogni anno viene organizzata da una famiglia diversa. Alla Vergine appartiene un tesoro costituito soprattutto da catene, bracciali, orecchini in oro e un preziosissimo rosario molto antico. La particolarità di questa festa è data da sa cabiedda, una gabbia, in cui viene racchiusa una coppia di tortore e poi abbellita con fiori e gioielli appartenenti alla famiglia organizzatrice. Questa festa testimonia come la tradizione affascini adulti e giovani che si sentono coinvolti in una cerimonia religiosa ricca di devozione e cultura.
Approfondimenti
I reperti rinvenuti nel territorio di Villasor - tra cui i reperti della collezione Vargiu - sono indizio dell’esistenza di agglomerati di capanne e documentano due grandi periodi della preistoria: il neolitico e il calcolitico. L’origine arcaica di Villasor è oggi ampiamente documentata da recenti scavi archeologici che si sono rivelati di grande importanza per quel che riguarda il patrimonio artistico – culturale del paese.
Il Neolitico si divide in tre fasi:
1) la prima fase del neolitico nota a Villasor è quella di Bonu Ighinu (4800-4400 a.C.), nella quale gli uomini si insediano in ripari sotto roccia e in villaggi all’aperto, costituiti da capanne;
2) la seconda fase è quella di San Ciriaco (4400–4200 a.C.), sviluppatasi negli ultimi anni;
3) la terza fase è quella di San Michele di Ozieri diffusa in tutta la Sardegna e in particolar modo nel Campidano: nel territorio di Villasor sono stati riportati alla luce diversi frammenti di ceramica come vasi a cestello, ciotole emisferiche, pissidi, tripodi e vasi globulari a collo.
Il calcolitico si divide in due fasi:
1) la prima fase, età del rame o anche sub Ozieri 3500-3300 a.C., è un’evoluzione della precedente; i reperti hanno le forme già note con un irrigidimento e mancanza di decorazioni;
2) la seconda e ultima fase, conosciuta nel territorio di Villasor, è quella della cultura di Monte Claro (3300–2300 a.C.); in questo periodo i contenitori per alimenti sono di grandi dimensioni e di forma cilindrica, decorati con scanalature ortogonali.
Il territorio di Villasor ha portato alla luce diversi bronzetti di epoca nuragica. Il primo fu rinvenuto nel 1860 nei terreni del Cavalier Vaquer, il quale lo consegnò al museo archeologico di Cagliari, dove è attualmente conservato. Alto 9,5 cm rappresenta una donna che porta una cesta sul capo. Il secondo è stato recuperato nel 1994 in un terreno agricolo in località Sparagallu; alto 6 cm, rappresenta un guerriero con copricapo e pugnaletto, del tipo a elsa gemmata sul petto.
Nella prima campagna di scavo del 1994 vi è stata la recinzione dell’area del nuraghe e quindi l’asportazione dello strato di terreno superficiale che ha messo in evidenza i resti di alcune torri. Nella seconda campagna di scavo del 1995/96 vi è stata un’esplorazione generale del monumento e in particolare del cortile, che ha dato alla luce strumenti da lavoro in pietra e olle (vasi globulari a collo) per la conservazione degli alimenti. La terza campagna di scavo del 1997 è stata dedicata allo scavo del mastio, il quale ha rivelato due livelli; nel livello superiore è emerso un ricco deposito di vasi: olle, macinelli e pestelli, nel livello inferiore sono state trovate ceramiche frammentarie e uno strato di cenere con un piccolo focolare rotondo.
Il nobile catalano Giovanni Siviller, la cui casata era tenuta in grande considerazione in Catalogna e anche dal Consiglio della città di Barcellona, fu il primo a ricevere in feudo, nel 1414, il territorio dell’antica contrada o Curatoria di Gippi o Parte Ippis, conosciuto storicamente come feudo di Villasor. Il suo territorio, compreso tra la campagna di Villaspeciosa, Decimomannu, San Sperate, Samassi e Siliqua, non era molto vasto, ma di grande fertilità agricola. Il Siviller trovò in questo territorio una posizione ideale per le varie comunicazioni con i diversi abitati e con la città Villa di Sorres, capoluogo del feudo, che nel periodo dei Pisani era già fiorente, superando la stessa Gippi. Il Siviller scelse pertanto Sorres come centro del suo feudo. La trovò però quasi del tutto distrutta sia a causa delle ostilità tra Arborea e Aragona, sia per le numerose razzie delle bande barbaricine che scendevano dai monti verso il sud dell’Isola per combattere le popolazioni fedeli ai dominatori stranieri che loro avversavano. L’infeudazione pose obbligo al nobile Siviller di abitare nel feudo e di riordinare la disastrata Sorres; nel 1415 fece erigere pertanto una Casa-Fortezza con caratteristiche di abitazione e di difesa del paese: il castello ancora oggi esistente, dichiarato monumento nazionale nel 1910.
La pianta dell’edificio è a forma di “U”. La sommità delle mura agli angoli, alla chiusura dei due bracci aperti e nel fronte che costituisce il prospetto principale è coronato da una merlatura guelfa con saettiere. All’interno vi è un bellissimo cortile su cui si affacciano le finestre e una scala che permette l’accesso interno al castello e ad un balcone che gira lungo tutte le mura.
Un sotterraneo collegava il castello alla chiesa parrocchiale, alla sinistra dell’altare maggiore; la copertura dell’ingresso del sotterraneo, costituito da una lastra di ardesia, era ancora visibile negli anni ‘50. L’edificio richiama stanze signorili di stile gotico-catalano, con finestroni di pietra lavorati a traforo sul lato principale e sul retro da dove si può vedere il giardino interno con i sedili in pietra. L’esterno è costituito da grossi muri a scarpata, contrafforti di pietre squadrate e merlate. In seguito al recente restauro le sale interne hanno conservato tutte il soffitto in legno, le cui travi di carico poggiano su mensole. Sopra il portale principale vi è lo stemma di famiglia di forma circolare sormontato da una corona marchionale; in rilievo, nella metà di sinistra, si vedono sei palle, arma dei de Silva, sovrapposte ad un albero, simbolo degli Arborea, nella metà di destra, una torre alata, arma degli Alagon. Lo stemma apparterrebbe alla casata degli Alagon Arborea de Silva, cioè agli eredi della fusione dei due casati avvenuta con il matrimonio tra Manuela Alagon Arborea, marchesa di Villasor e il conte Giuseppe de Silva Fernandez De Cordoba conte di Cifuentes.
Il feudo fu riconfermato a Giovanni Siviller anche dal re Alfonso d’Aragona, il quale gli concesse anche la potestà di trasmetterlo ai figli per sempre. Erede universale fu la sua unica figlia Donna Aldonsa, la quale andò in sposa a Don Giacomo Bejora; il matrimonio unì i feudi di Villasor e della Trexenta. In seguito al matrimonio della loro figlia Isabella con Salvatore Alagon si unirono anche i casati Siviller e Alagon. Don Carlo, uno dei figli, ereditò la Trexenta, mentre Don Giacomo, l’altro figlio, ottenne dal re Carlo V il titolo onorifico di Conte di Villasor nel 1506. Al figlio primogenito di Don Giacomo, Don Biagio, è presumibilmente dedicata la chiesa parrocchiale di Villasor a cui aveva assistito al completamento. Nel 1703 il marchesato passò a Manuela Alagon, moglie di Giuseppe de Silva. Il feudo fu definitivamente riscattato nel 1838 in seguito all’abolizione del sistema feudale in Sardegna.
La chiesa parrocchiale di San Biagio
La Chiesa è a forma di croce latina, distinta in tre navate, coperte da volte a botte. All’incrocio della navata centrale del transetto sorge la cupola su tamburo poligonale. Delle nove cappelle, solo le prime due sono antiche, le altre si adattano allo stile della Chiesa, cioè slanciate con l’arco a tutto sesto. Il presbiterio si eleva sul piano della Chiesa e vi si accede per una scalinata di marmo. L’altare maggiore è ricco di marmi ad intarsio e reca al centro l’immagine di San Biagio del Lonis. Nelle cappelle di destra, si notano due altari particolari: uno con due scudi gentilizi, uno crociato e uno con la scritta Libertas, e l’altro del 1747. Essi provengono dalla chiesa cagliaritana di San Francesco a Stampace, andata distrutta. Il vecchio fonte battesimale fu collocato nel 1805 nell’antica cappella sotto la torre campanaria. Sulla torre sono installate cinque campane; su una di esse si legge: In honorem B.M. Vergini set S. Basii huius parochialis ecclesiae ex oppido de Villa Sorre. A.D. 1701.
Nel 1882 furono affidati all’ingegnere Antonio Vivanet i lavori di sistemazione del piazzale antistante la chiesa; il muro di giro della piazza, oggi inesistente, venne ricoperto con trachite di Serrenti e le gradinate di accesso alla chiesa vennero rivestite in granito. Nel piazzale, intorno al 1885, fu sistemata una colonna sormontata da una croce andata perduta. Nel 1951 si diede al piazzale l’assetto attuale e nel 1964 venne portato a termine il nuovo fonte battesimale donato dal Comune.
Un curioso aneddoto riguarda l’incendio della sacrestia avvenuto, pare per incuria del sacrista, il 30 ottobre 1909 e durante il quale la sacrestia andò completamente distrutta; si salvò solo l’argenteria che fortunatamente si trovava nell’archivio parrocchiale.
Il parroco fu obbligato a trasportare il Santissimo Sacramento nella Chiesa di Sant’Antioco fino al giorno in cui, riparata la sacristia, fu riportato in parrocchia in processione, seguito da tutto il popolo in festa. Al riparo dei danni dell’incendio concorsero generosamente l’Arcivescovo, il Municipio e i muratori del paese che lavorarono gratuitamente insieme all’intera popolazione.
Il primo ad essere edificato fu il convento di San Michele, la cui costruzione si fa risalire al 1610, a spese del Canonico Don Achille Bosquet che lo arricchì di arredi e paramenti. Il convento sorse nelle vicinanze della chiesetta di San Michele Arcangelo, situata a poca distanza da Villasor. Il sigillo appartenuto a questo convento è stato rinvenuto in una carta conventuale del 1756 e riproduce la figura dell’Arcangelo San Michele ad ali spiegate, con la spada fiammeggiante sulla destra, la bilancia nella mano sinistra, nell’atto di calpestare l’angelo ribelle. Il Regio Decreto del 7 luglio 1866 che soppresse Ordini, Corporazioni, Congregazioni e Conservatori religiosi e destinò i beni ad essi appartenuti al demanio dello Stato, si abbatté anche su questo convento costringendo i frati al suo abbandono. In breve tempo le chiese e i conventi, prive della necessaria manutenzione divennero un cumulo di rovine. Pochi oggi ricordano le rovine del convento di Santu Miabi e la vendita, da parte del parroco di Villasor, delle opere d’arte che vi erano custodite.
Il Convento di Sant’Antioco fu completato nel 1630 con sovvenzioni di autorità e con l’aiuto della popolazione di Villasor e dei paesi vicini che contribuirono economicamente alla sua edificazione e, in seguito, anche al sostentamento dei frati cappuccini. Contiguo al convento vi era un orto che si estendeva attorno. Anche questo convento subì gli effetti del Regio Decreto del 1866 e il comune ottenne i beni ad esso appartenuti. Nei locali dell’ex convento furono trasferiti il Municipio e le scuole. Nel 1967 questi locali furono sottoposti a restauro per ospitare, fino al 2002, l’asilo infantile curato dalle suore dell’ordine delle Figlie di San Giuseppe.
La chiesa di Sant’Antioco conserva un fonte battesimale del 1743. Nel 1954 furono acquistate nuove campane che vennero collocate nel 1962, quando fu sistemato il muro esterno della Chiesa. Nel giugno del 1963 si rivestì in marmo l’altare maggiore e si pavimentò il presbiterio con perlato di Sicilia. Un quadro rappresentante la Crocifissione, attribuito al pittore genovese Orazio de Ferrari e conservato nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari è stato riportato nel 2005 nella sua sede originale dal Sindaco Efisio Pisano. Dipinto ad olio su tela, privo di cornice, fu restaurato nel 1934 dal professor Bacci Venuti. L’opera si fa risalire al 1647.
Un’altra crocifissione sull’altare maggiore e un dipinto sistemato sulla parete sinistra dell’ingresso principale, con una bellissima cornice intagliata, sono attribuiti al pittore cagliaritano Francesco Massa, che operò nel XVIII secolo, soprattutto nella sua città natale e fu allievo del pittore veneto Antonio Scaletta.
I locali dell’ex Convento dei Cappuccini ospiteranno esposizioni di documenti storici, un archivio consultabile e un sistema informativo multimediale che consentiranno ai visitatori di approfondire i temi della storia e della tradizione locale e di diventare, pertanto, uno dei poli di attrazione turistica di Villasor.
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