- l’abito femminile
- l’abito maschile
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Bruno Orrù
Intervista a Bruno Orrù, presidente dell’associazione “Tradizioni popolari Funtana de Olia”
L’associazione “Tradizioni popolari Funtana de Olia” è il gruppo folk più antico di Sinnai; ci parli di questo gruppo, quando è nato e che obiettivi ha?
Questo gruppo è il risultato dell’associazione di persone che nel 1948, sotto la guida di Cesarino Cocco e Giuseppe Piroddi (oggi scomparsi), costituirono il primo gruppo folkloristico per studiare le antiche tradizioni sinnaesi. In quegli anni i gruppi folk in Sardegna erano molto pochi e lavoravano con molta difficoltà perché si era appena concluso il ventennio fascista e le tradizioni locali venivano soffocate per dare spazio al nazionalismo italiano. Antecedente al gruppo di Sinnai esisteva solo quello di Samugheo, il primo ad avere iniziato un percorso simile. Ho avuto la fortuna di fare parte del gruppo di Sinnai già dagli anni Settanta, prendendone la guida intorno agli anni Ottanta. Inizialmente il gruppo si chiamava “Serpeddì”, oggi ha cambiato nome in “Funtana de Olia” per fare onore a quello che fu il primo centro abitato sinnaese (risalente ai primi decenni dell’anno Mille, N.d.R.).
L’associazione ha avuto la possibilità di fotografare abiti molto antichi, risalenti alla fine dell’Ottocento. In che cosa si differenziavano quegli abiti da quelli indossati oggi nell’attività del gruppo folk?
Gli abiti che noi proponiamo nelle nostre serate sono identici nella forma a quelli che si indossavano nell’Ottocento. L’unica differenza è che, mentre anticamente le ragazze usavano determinati accorgimenti per valorizzare le prosperità femminili come fianchi e seno, oggi purtroppo, dovendoci esibire nelle manifestazioni pubbliche con balli e canti, abbiamo bisogno di meno pesantezza nell’abbigliamento. Per alleggerirlo abbiamo eliminato ogni genere di sottogonna ma broccati, stoffe e ricami riproducono fedelmente quelli dell’Ottocento. Esteriormente il costume è identico a quello che anticamente si portava, noi lo ricostruiamo con le medesime stoffe e con i medesimi carismi, facendo a mano tutti i ricami del velo e delle camicie.
Quanti tipi di abiti esistono a Sinnai?
Noi principalmente usiamo tre tipi di costume: quello giornaliero, chiamato a perra de canna, deve il suo nome alla lavorazione della camicia che ricorda l’intelaiatura delle canne nei tetti e nelle incannicciate che sostengono le tegole. Era il costume popolare, quello che le donne usavano per lavorare in casa ma anche nelle occasioni più importanti. Il secondo costume è quello a sciallu de seda. Il nome deriva dall’ampio scialle di seta che ha quasi due metri di lato e che veniva usato ripiegato. Era l’abito da sposa della classe media. Il terzo, di chiara influenza spagnoleggiante, è su bistiri bonu, il costume della sposa delle classi più abbienti. È, infatti, il costume più ricco, fatto di broccati, filigrana d’oro, ricchi ricami impreziositi da monili d’oro in filigrana.
I gioielli e gli accessori denotavano la classe sociale?
Indubbiamente, la classe sociale si notava subito sia dall’abito che dai gioielli d’oro e d’argento che si usavano. Si notava subito anche se una donna era nubile, sposata o vedova. L’abito era la carta d’identità della persona.
Per quanto riguarda l'abito maschile?
L’abito maschile è più sobrio e meno adornato di gioielli. Anche questo però variava a seconda della classe sociale, infatti i costumi più ricchi erano cuciti con stoffe più pregiate. Le parti nere, is cratzas e sa gunnedda de arroda, erano solitamente in orbace. Il corpetto poteva essere in velluto o in broccato e questo differenziava le classi abbienti da quelle subalterne. Come gruppo abbiamo usato il velluto rosso, utilizzato dagli uomini del ceto medio del nostro paese.
Quali erano le componenti antropologico-sociali del modo di vestire?
Il modo di vestire era legato principalmente alle esigenze della vita quotidiana. Il vestito doveva sopperire alla naturale esigenza dell’uomo e della donna di rapportarsi al prossimo. Dal vestito si capiva la condizione sociale e lo stato familiare. Generalmente non aveva attinenza con la religione o altri tipi di legame col soprannaturale e altri riti. Le donne superstiziose però, ad esempio, usavano su scapolariu, un sacchetto che si metteva intorno al collo e che conteneva immagini sacre o oggetti che si riteneva avessero la facoltà di proteggere. Non tutte le persone indossavano questi accessori e dal fatto che si indossassero o meno si poteva capire se una persona avesse un particolare legame col mondo della magia o del soprannaturale in genere.
Che significato ha oggi fare il presidente di un’associazione culturale come un gruppo folk?
Per chi non partecipa alle attività folkloristiche è molto difficile capire la soddisfazione che comporta questo tipo di lavoro, anche se richiede tanto tempo che potresti dedicare agli affetti e allo svago. Per fortuna mia moglie e i miei figli fanno tutti parte del gruppo e quindi sul piano familiare non è un peso. Oggi viviamo in un periodo molto difficile. Io mi rapporto con ragazzi di quindici, sedici anni e ho una scuola di bambini, che hanno dai quattro ai dodici anni, a cui insegno a ballare. I ragazzi hanno sempre tanta voglia di imparare e quando fanno la loro prima manifestazione in pubblico e vedono premiato il loro sacrificio, io mi commuovo, perché imparare a ballare e a cantare è un lavoro fisico che comporta notevoli sforzi e sacrifici. Seguire questi ragazzi nel loro impegno per il folklore, leggere negli occhi la loro soddisfazione, per me è una cosa bellissima. Per questo ha senso anche oggi portare avanti un progetto simile. Noi preserviamo questi giovani dai pericoli di tutti i giorni e gli trasmettiamo i valori che appartenevano ai nostri padri.
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Liliana Serreli
Intervista a Liliana Serreli, appartenente all’associazione “Tradizioni popolari Funtana de Olia”
Abbiamo fotografato degli abiti bellissimi, indossati da modelle sinnaesi che fanno parte del gruppo folk “Funtana de Olia”. A che periodo risalgono questi abiti?
Sono costumi che risalgono alla seconda metà dell’Ottocento; appartenevano a mia nonna che li ha indossati per sposarsi, poi sono passati ad una mia zia che ancora si vestiva in costume per preservare la tradizione. Noi li abbiamo ereditati e li usiamo ancora oggi.
Il costume sardo viene considerato una sorta di patrimonio, quindi si eredita?
Sì, normalmente si eredita.
Da chi viene ereditato?
Lo eredita un parente che ha deciso di usare quel costume, altrimenti, come capita spesso, si dividono i capi tra i parenti, una cosa bruttissima! Noi abbiamo avuto la possibilità di ereditarlo intero da questa nostra zia che non aveva figli.
Abbiamo fotografato molti capi singoli, anche quei pezzi appartenevano a sua nonna?
Tutto il materiale fotografato apparteneva a mia nonna.
Possiamo dire che lei è una collezionista di costumi sardi?
Diciamo che sono una collezionista. Io ho sempre amato i costumi, anche per via del lavoro che faceva mio marito, un impiegato provinciale per il turismo, quindi interessato ai gruppi che si occupavano di folklore (come ad esempio quelli che organizzavano la sfilata di Sant’Efisio).
Come si conservano i pezzi antichi del costume?
Noi abbiamo ereditato anche il mobile in cui mia nonna teneva gli abiti. Vanno custoditi con la carta velina che si inserisce tra un vestito e l’altro e tra le pieghe, poi si avvolge completamente nella carta velina e si ripone nei cassetti.
Purtroppo il tempo usura i vestiti e le parti più delicate, come i ricami, si rovinano. É possibile restaurarli?
Innanzitutto bisogna dire che un vestito, di tanto in tanto, deve essere portato all’aria aperta. Io non sono d’accordo a restaurare un vestito perché si commetterebbe un falso storico. Si può intervenire in qualche piccola parte, ma ricostruire completamente orli e ricami non è possibile.
In quali occasioni vengono ancora usati questi pezzi di abiti originali?
L’ultima volta li usò mia zia, per il mio matrimonio, cinquant’anni fa.
Quindi ci sono ancora occasioni pubbliche in cui questi vestiti vengono utilizzati?
Qualche volta vengono usati nelle sfilate, ma per ballare utilizziamo soprattutto delle riproduzioni in quanto gli abiti originali sono troppo preziosi e delicati.
Quindi negli spettacoli si usano delle riproduzioni?
Sì certo, sarebbe un peccato rovinarli. I vestiti vengono riprodotti in modo identico con tessuti similari.
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Nome: abito con scialle di seta
Denominazione locale: bistiri a sciallu de seda
Uso: abito da sposa ceto medio, abito da cerimonia
Tessuto: seta
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Marta Orrù
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Nome: abito con scialle di seta
Denominazione locale: bistiri a sciallu de seda
Uso: abito da sposa ceto medio, abito da cerimonia
Tessuto: seta
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Marta Orrù
Foto di: Claudia Castellano399.75600 - images/morfeoshow/temp_upload/03sinnaijpg_02.jpg
Nome: abito a liste di canna
Denominazione locale: bistiri a perra de canna
Uso: giornaliero
Tessuto: misto lana de abordau (adattamento sardizzato di bordeaux)
Datazione: seconda metà dell’OttocentoCollezione: famiglia Serreli
Modella: Marta Orrù
Foto di: Claudia Castellano399.75600 - images/morfeoshow/temp_upload/04sinnaijpg_03.jpg
Nome: abito a liste di canna, particolare della camicia a perra de canna
Denominazione locale: bistiri a perra de canna
Uso: giornaliero
Tessuto: lana
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Marta Orrù
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Nome: abito a liste di canna, particolare della gonna a tancus (parte superiore blu, parte inferiore rossa)
Denominazione locale: bistiri a perra de canna
Uso: giornaliero; il blu veniva usato nel periodo della vedovanza
Tessuto: lana
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Marta Orrù
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Nome: abito buono
Denominazione locale: bistiri bonu
Uso: matrimonio, cerimonia (ricca borghesia)
Tessuto: panno e broccato
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Francesca Boassa
Foto di: Claudia Castellano399.75600 - images/morfeoshow/temp_upload/07sinnaijpg_06.jpg
Nome: abito buono, particolare del velo in tulle ricamato a mano su cui è appuntata la spilla margherita in oro (spilla de faci); sul petto si notano i bottoni e sa cannacca, entrambi in oro.
Denominazione locale: bistiri bonu
Uso: matrimonio, cerimonia (ricca borghesia)
Tessuto: tulle
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Francesca Boassa
Foto di: Claudia Castellano399.75600 - images/morfeoshow/temp_upload/08sinnaijpg_09.jpg
Nome: da sinistra, abito a liste di canna, abito buono e abito con scialle di seta
Denominazione locale: da sinistra, bistiri a perra de canna, bistiri bonu e bistiri a sciallu de seda
Uso: giornaliero, cerimonia (ricca borghesia), cerimonia (ceto medio)
Tessuti: misto lana de abordau, panno e broccato, seta
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modelle: da destra, Michela Orrù, Francesca Boassa, Marta Orrù
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/09sinnaijpg_23.jpg
Nome: cuffia
Denominazione locale: scufiotu
Uso: serviva per raccogliere i capelli; ci si appuntava sa spilla de faci per mantenere il velo e lo scialle di seta. Era usato sia con l’abito buono sia con l’abito con lo scialle di seta.
Tessuto: raso
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/10sinnaijpg_19.jpg
Nome: fazzoletti per la testa
Denominazione locale: mucadori de conca
Uso: giornaliero; variava il colore secondo i gusti personali, nell’abito buono era sempre bianco.
Tessuto: lana
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/11sinnaijpg_15.jpg
Nome: fazzoletti per la testa
Denominazione locale: mucadoris de conca
Uso: giornaliero
Tessuto: lana
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/12sinnaijpg_14.jpg
Nome: scialle di seta, particolare del ricamo
Denominazione locale: sciallu de seda
Uso: giornaliero
Tessuto: lana ricamata
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: fazzoletto
Denominazione locale: mucadori
Uso: giornaliero
Tessuto: raso
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/14sinnaijpg_24.jpg
Nome: camicia a liste di canna
Denominazione locale: camisa a perra de canna
Uso: giornaliero
Tessuto: lino
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: camicia a liste di canna, particolare della manica
Denominazione locale: camisa a perra de canna
Uso: giornaliero
Tessuto: lino
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: corpetto
Denominazione locale: cossu
Uso: tutte le occasioni. Nel vestito buono si usava sotto la camicia con funzione di reggiseno, mentre in quello a scialle di seta andava sopra la camicia e sotto su spensu, il corpetto a maniche lunghe.
Tessuto: broccato con passamaneria argentata
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: corpetto
Denominazione locale: cossu
Uso: giornaliero
Tessuto: broccato
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: corpetti a maniche lunghe
Denominazione locale: spensus
Uso: cerimonia ceto medio
Tessuto: raso con trine d’oro
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: giacca in velluto
Denominazione locale: sa vellada
Uso: cerimonia, indossato con l’abito buono
Tessuto: velluto, passamaneria argentata o dorata
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: gonna
Denominazione locale: gunnedda de asuta
Uso: si indossava sotto la gonna per valorizzare le forme femminili come simbolo di fertilità (uso probabilmente derivante dagli antichi romani, i primi ad averlo documentato).
Tessuto: panno
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: grembiule dell’abito buono
Denominazione locale: imboddiu, deventali de su bistiri bonu
Uso: cerimonia ricca borghesia
Tessuto: broccato
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: grembiule dell’abito con scialle di seta
Denominazione locale: deventali de su bistiri a sciallu de seda
Uso: cerimonia classe media
Tessuto: raso
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: grembiule dell’abito con scialle di seta, talvolta usato anche con l’abito a liste di canna
Denominazione locale: deventali de su bistiri a sciallu de seda
Uso: cerimonia ceto medio
Tessuto: raso
Datazione: fine Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: grembiule dell’abito a liste di canna
Denominazione locale: deventali de su bistiri a perra de canna
Uso: giornaliero
Tessuto: lana leggera ricamata
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano399.75600
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Nome: abito da uomo
Denominazione locale: bistiri de mascu
Uso: festivo
Tessuto: orbace e tela (lino)
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Bruno Orrù
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Nome: abito da uomo, particolare del sereniccu (adattamento sardizzato della città greca di Salonicco; altri invece propendono per l’allusione alla sera). Ci sono delle somiglianze di abbigliamento con i paesi balcanici e della Grecia.
Denominazione locale: bistiri de mascu
Uso: festivo
Tessuto: orbace e tela (lino)
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Bruno Orrù
Foto di: Claudia Castellano399.75600 - images/morfeoshow/temp_upload/03sinnaijpg_29.jpg
Nome: catena
Denominazione locale: giunchilliu
Uso: festivo, chiudeva su sereniccu
Materiale: argento
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
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Nome: abito da uomo, particolare della s’ista de peddi (mastruca) e della berritta
Denominazione locale: bistiri de mascu
Uso: giornaliero
Tessuto: pelle di cervo (mastruca) e orbace (berritta)
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Modella: Bruno Orrù
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/05sinnaijpg_27.jpg
Nome: mastruca
Denominazione locale: ista de peddi
Uso: si utilizzava per andare a cavallo perché riparava dal freddo e dal vento senza impedire la mobilità.
Tessuto: pelle di cervo, ma poteva anche essere di capra.
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano600399.75 - images/morfeoshow/temp_upload/06sinnaijpg_26.jpg
Nome: cinta
Denominazione locale: cintroxu
Uso: giornaliero
Tessuto: pelle rivestita in raso
Datazione: seconda metà dell’Ottocento
Collezione: famiglia Serreli
Foto di: Claudia Castellano600399.75
L’abito tradizionale
Le prime rappresentazioni degli abiti sinnaesi apparvero nelle riviste che circolavano in Sardegna nel corso del diciannovesimo secolo. Baldassarre Luciano, in una litografia pubblicata nel 1878 sulla rivista Il buon umore, raffigura una domestica che indossa una cuffia di broccato sulla testa, una giacca con maniche strette, una gonna di bordato rosso e blu, un grembiule di seta e un fazzoletto sulla vita.
Giuseppe Cominotti, in una litografia del 1826, raffigura una ragazza sinnaese a cavallo in abito da sposa. Il vestito è molto simile a su bistiri bonu (l’abito da sposa della ricca borghesia), quello che oggi le ragazze dei gruppi folk di Sinnai indossano per ballare nelle feste e nelle sagre paesane.
Molte famiglie di Sinnai custodiscono gelosamente numerosi abiti antichi come una sorta di eredità familiare. Liliana Serreli conserva nella sua casa campidanese diversi abiti femminili e maschili appartenuti ai suoi avi, risalenti tutti alla seconda metà dell’Ottocento. La sua collezione è importantissima dal punto di vista etnografico e ci dà un’idea di come donne e uomini si vestivano a Sinnai nel diciannovesimo secolo. Le riproduzioni di questi costumi vengono utilizzate principalmente dai componenti del gruppo folk di Sinnai “Funtana de Olia” nato nel 2001 ma presente dal 1948 come Gruppo Folk Sinnai. In base alla tradizione, a Sinnai possono essere classificate quattro categorie di abiti: su bistiri bonu (l’abito da sposa e da cerimonia della ricca borghesia), su bistiri a sciallu de seda (l’abito da sposa e da cerimonia del ceto medio), su bistiri a perra de canna (l’abito giornaliero) e su bistiri de mascu (l’abito maschile).
Su bistiri bonu (l’abito buono)
Era l’abito che veniva usato dalle ragazze della ricca borgesia in occasione delle nozze o di importanti cerimonie. Sulla testa si indossava su scufiotu, una cuffia che serviva per raccogliere i capelli, e su velu, un velo in tulle ricamato a mano dove si appuntavano ornamenti in oro e spille come sa spilla de faci.
La camicia era di lino ornata e ricamata molto finemente con pizzi nel collo e nei polsini. Sotto la camicia (non sopra, come nell’abito con scialle di sete e in quello giornaliero) andava su cossu, un corpetto che aveva la funzione di reggiseno (non esisteva la biancheria intima). Nelle spalle si legava su pannu de piturra, un fazzoletto ricamato dove veniva fissata sa cannacca, un prezioso girocollo in oro. Molto importante era sa vellada, una giacca in velluto attillata a mezze maniche che serviva per modellare la vita. La gonna, sa gunnedda, era di velluto rosso e aveva delle pieghe sia davanti che dietro. Sopra sa gunnedda andava s’imboddiu, grembiule in broccato che si distingueva dagli altri per la particolare fattura dei ricami e dei pizzi. Le scarpe erano rivestite di broccato e si abbinavano con s’imboddiu.
Nel vestito buono abbondavano is prendas (i gioielli) che, oltre ad avere una funzione decorativa, denotavano la classe sociale. Famose in tutto il Campidano sono le collane, come su giunchìlliu, sa cannacca de oru e su lasu, quest’ultimo considerato il gioiello più importante per una donna perché descriveva un percorso di vita.
Su bistiri a sciallu de seda (l’abito con scialle di seta)
Era l’abito da sposa e da cerimonia delle ragazze del ceto medio. Sulla testa si indossava su mucadori, un fazzoletto che serviva per tenere i capelli. Sopra il fazzoletto poggiava su sciallu de seda, uno scialle di seta viola e verde. La camicia era di lino con pizzi sui polsini e sul colletto; sopra la camicia andava su cossu e su spensu, un corpetto di raso a maniche lunghe ornato con trine d’oro. Come gonna si usava sa gunnedda de abordau (sardizzazione di bordeaux), così chiamata perché venivano messe in risalto le righe bordeaux del vestito. Sopra la gonna si legava su deventali, un grembiule di raso con vari ricami sul lato inferiore, spesso dotato di busciàcca, una tasca di broccato che veniva legata sotto il grembiule.
Su bistiri de donnia di (l’abito di tutti i giorni)
Era il vestito che serviva per tutti i giorni. Sulla testa si indossava su mucadori che spesso era di cotone ma poteva essere anche di raso o di lana. La camicia era di lino bianco, veniva stirata disponendo il tessuto con delle pieghe e per questo veniva chiamata a perra de canna (liste di canna). Sopra la camicia si indossava su cossu sul quale si appuntava su pannu de piturra simile strutturalmente a quello de su bistiri bonu ma molto più modesto. La gonna, sa gunnedda a tancus, era composta da una parte superiore di colore blu e una inferiore di colore rosso. Il blu veniva usato nei periodi di vedovanza.
Su bistiri de mascu (l’abito da uomo)
L’abito da uomo si presentava in una sola variante; veniva indossato sia quotidianamente che nelle feste e nelle cerimonie con l’aggiunta di alcuni capi. Sulla testa andava sa berritta, un copricapo in orbace lungo circa 60 centimetri che veniva lasciato cadere all’indietro sulla schiena. La camicia era di lino ornata con dei ricami nei polsini e nel colletto. Sia i polsini che il colletto si chiudevano con dei bottoni d’oro. Sopra la camicia andava su gropetu, un gilet di velluto rosso con bottoni d’oro rifinito ai bordi con numerosi ricami dorati. Sopra su gropetu andava s’ista de peddi, più nota come mastruca. Questa era fatta in pelle di cervo (quando ancora il cervo si poteva cacciare nelle montagne di Sinnai) e si utilizzava per andare a cavallo, perché riparava dal freddo e dal vento senza limitare la mobilità sull’animale. Un capo molto interessante è su sereniccu, una sorta di mantello in orbace con un ampio cappuccio che si chiudeva all’altezza del petto con su giunchìlliu, una catena ornata d’oro o d’argento. Is cratzonis (i calzoni) erano di lino e rimanevano piuttosto larghi. Sopra is cratzonis andava s’arroda, un gonnellino di orbace che aveva il bordo in velluto e veniva tenuto da sa carrighera, una cinta in pelle rivestita di broccato.
Tessuti e stoffe maggiormente utilizzate
Lana e misto lana
Si usava nei vestiti a sciallu de seda e a perra de canna. Usato per gonne, fazzoletti e sottogonne.
Lino
Impiegato per camicie, mutandoni e, in generale, per le parti bianche dei vestiti.
Orbace
Particolare lavorazione della lana, veniva utilizzato principalmente per gli abiti maschili.
Raso
Utilizzato per fazzoletti, corsetti e deventalis.
Seta
Si adoperava per su sciallu de seda e diverse altre componenti dei vestiti.
Broccato
Lavorazione particolare della seta, si usava per i corsetti.
Velluto
Impiegato nei corsetti.
Panno
Utilizzato per le gonne.
gioielli
costumi
paesi
Crediti