La vanità
- gioielli
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testimonianza anonima
Testimonianza anonima
Come è nato il suo interesse per la tradizione sarda?
Non c’è un interesse preciso, il fatto è che a casa abbiamo sempre visto questi gioielli antichi e quindi abbiamo chiesto ai nostri genitori informazioni sulla loro provenienza e sul loro utilizzo; sono gioielli di famiglia a cui si è legati affettivamente.
Qual è stato il motivo per cui lei ha conservato questi gioielli, come sono stati ripartiti tra voi?
Non li abbiamo neanche divisi tra fratelli e sorelle, anche se mia mamma è mancata da più di dieci anni; li abbiamo conservati e non vorremmo privarcene mai perché sono un ricordo di mamma e hanno un valore affettivo incommensurabile.
Sono molto antichi?
Sono sicuramente di mia nonna e qualcuno di mia bisnonna.
Quindi qualcuno è del 1800?
Sì, perché mia nonna è morta nel 1920, per cui erano precedenti, ma non so esattamente a che data possano risalire.
Questi gioielli venivano usati nelle feste?
Soprattutto nelle feste, quando ci si vestiva in costume, ma qualcuno quando eravamo ragazze l’abbiamo indossato anche in altre occasioni, qualche collana, qualche anello ad esempio, e anche le spille.
Alcuni vi sono stati regalati oppure sono stati fatti fare appositamente?
No, sono tutti di mia mamma.
Conosce i vari nomi dei gioielli e il loro vero utilizzo?
Non in maniera approfondita, qualcuno sì, perché ricordo che quando mia mamma si vestiva in costume le facevamo molte domande sui gioielli.
La signora mostra e descrive i gioielli di sua proprietà.
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Anello a piastra ricavato da una moneta antica o fuori corso.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Anello d’oro donato alla nascita dalla madrina al bambino maschio e anello di fidanzamento che lo sposo regalava alla futura sposa.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Nome originale: aneddu - Nome italiano: anello
Tipologia: anello
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina quadrangolare a intaglio regolare
Forma predominante: losanga
Stilemi adottati: figura geometrica regolare (rettangolo)
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: fine Ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: deteriorato, manca la pietra in pasta di vetro arancione
Dimensioni: diametro cm 2
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: aneddu - Nome italiano: anello
Tipologia: anello
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina quadrangolare a intaglio frastagliato
Forma predominante: losanga
Stilemi adottati: floreale
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: metà Ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 2
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: cintoretta - Nome italiano: fede sarda tradizionale
Tipologia: anello
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina a sezione cilindrica regolare con filigrana, saldatura di canotigli, microsfere e foglioline
Forma predominante: losanga
Stilemi adottati: floreale
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano e Sardegna meridionale
Periodo: metà Ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 2
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: buttonis - Nome italiano: bottoni
Tipologia: bottone
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: filigrana a giorno
Forma predominante: sferica
Stilemi adottati: mammellare
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 1,5
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: cannacca a nuxeddas - Nome italiano: collana
Tipologia: collana
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina a filo ritorto con granuli
Forma predominante: sferica
Stilemi adottati: mammellare
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: metà del 1800
Livello manifattura: alto
Condizioni: parzialmente danneggiata
Dimensioni: lunghezza cm 24
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Cannacca a pisu de olia, collana in filigrana d’oro a seme d’oliva tipica del Campidano di Cagliari.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Collane di corallo rosso, di cui una con pendaglio a forma di manufica; il corallo è considerato un materiale di valore apotropaico.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Nome originale: arrecadas a tron’‘i àxina - Nome italiano: orecchini a grappolo d’uva
Tipologia: orecchini
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina d’oro traforata con filigrana
Forma predominante: cerchio
Stilemi adottati: grappolo d’uva
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: metà ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 4
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: arrecadas a tron’‘i àxina - Nome italiano: orecchini a grappolo d’uva
Tipologia: orecchini
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina d’oro filigranata e sagomata
Forma predominante: sferica e circolare
Stilemi adottati: grappolo d’uva
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: fine Ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: lunghezza cm 4-5
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Arreccadas a palia, orecchini in lamina d’oro traforato e filigranato, con inserimento di scaramazze su tutta la superficie; ornamento tipico del Campidano.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Nome originale: arrecadas a mura - Nome italiano: orecchini a mora
Tipologia: orecchini
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina d’oro filigranata e sagomata
Forma predominante: conica
Stilemi adottati: mora
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: lunghezza cm 5-6
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: cammeu - Nome italiano: cammeo
Tipologia: pendente
Metalli utilizzati: oro, avorio
Tecniche utilizzate: lamina d’oro con intaglio
Forma predominante: ellittica
Stilemi adottati: volto femminile
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: medio
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 4
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Su lasu, ornamento in oro che si porta al collo con un nastro (lasu, da cui il nome). Realizzato, con piccole varianti, in tutta l’area cagliaritana, è composto da tre elementi snodati in lamina d’oro rifinita in filigrana: su froccu, il fiocco, sa gioja nella parte centrale e su dominu il pendente che reca sempre un cammeo con viso muliebre; da quest’ultimo si dipanano tre fili mobili in oro di scaramazze sistemate in ordine crescente. Ogni elemento è collegato da una maglia apribile, in modo che ciascun componente possa essere usato anche singolarmente.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Su lasu, ornamento in oro che si porta al collo con un nastro (lasu, da cui il nome). Realizzato, con piccole varianti, in tutta l’area cagliaritana, è composto da tre elementi snodati in lamina d’oro rifinita in filigrana: su froccu, il fiocco, sa gioja nella parte centrale e su dominu il pendente che reca sempre un cammeo con viso muliebre; da quest’ultimo si dipanano tre fili mobili in oro di scaramazze sistemate in ordine crescente. Ogni elemento è collegato da una maglia apribile, in modo che ciascun componente possa essere usato anche singolarmente.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Su lasu, ornamento in oro che si porta al collo con un nastro (lasu, da cui il nome). Realizzato, con piccole varianti, in tutta l’area cagliaritana, è composto da tre elementi snodati in lamina d’oro rifinita in filigrana: su froccu, il fiocco, sa gioja nella parte centrale e su dominu il pendente che reca sempre un cammeo con viso muliebre; da quest’ultimo si dipanano tre fili mobili in oro di scaramazze sistemate in ordine crescente. Ogni elemento è collegato da una maglia apribile, in modo che ciascun componente possa essere usato anche singolarmente.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Su lasu, ornamento in oro che si porta al collo con un nastro (lasu, da cui il nome). Realizzato, con piccole varianti, in tutta l’area cagliaritana, è composto da tre elementi snodati in lamina d’oro rifinita in filigrana: su froccu, il fiocco, sa gioja nella parte centrale e su dominu il pendente che reca sempre un cammeo con viso muliebre; da quest’ultimo si dipanano tre fili mobili in oro di scaramazze sistemate in ordine crescente. Ogni elemento è collegato da una maglia apribile, in modo che ciascun componente possa essere usato anche singolarmente.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Nome originale: bròscia a bottoni - Nome italiano: spilla bottone
Tipologia: spilla
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina traforata e arricchita da filigrana
Forma predominante: cerchio
Stilemi adottati: mammellare
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: medio
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 4
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: bròscia a bottoni - Nome italiano: spilla
Tipologia: spilla
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: calotta semisferica con lamina rivestita da filo ritorto
Forma predominante: mammellare
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Sardegna
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: medio
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 4
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: broscia - Nome italiano: spilla
Tipologia: spilla
Metalli utilizzati: oro e piccole sfere di pasta di vetro
Tecniche utilizzate: lamina quadrangolare a intaglio frastagliato con inserzioni floreali filigranate
Forma predominante: losanghe collegate da maglie
Stilemi adottati: floreale
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: primi anni del Novecento
Livello manifattura: medio alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 5
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: agulla - Nome italiano: spilla di sicurezza o da balia
Tipologia: spilla
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina con filigrana
Forma predominante: mammellare
Stilemi adottati: mammellare
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: diametro cm 2
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Su piccioni, spilla tipica dell’area meridionale della Sardegna, realizzata in lamina d’oro con applicazioni in filigrana; il vistoso centro è in lamina indaco con bordi arricchiti di minuscole scaramazze.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Nome originale: su girasoli - Nome italiano: spilla girasole
Tipologia: spilla
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina traforata e sagomata
Forma predominante: circolare
Stilemi adottati: floreale
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 7
Collezione privata.Foto di Gianni Piu.
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Su girasoli, spilla a forma di fiore in lamina d’oro con rubino centrale e scaramazze. Nel Campidano di Cagliari era il primo regalo che la famiglia del fidanzato portava in dono alla futura sposa.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Su girasoli, spilla a forma di fiore in lamina d’oro con rubino centrale e scaramazze. Nel Campidano di Cagliari era il primo regalo che la famiglia del fidanzato portava in dono alla futura sposa.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Su girasoli, spilla a forma di fiore in lamina d’oro con rubino centrale e scaramazze. Nel Campidano di Cagliari era il primo regalo che la famiglia del fidanzato portava in dono alla futura sposa.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Vista d’insieme dei gioielli.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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La magia
- gioielli
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Bonaria Putzu
Testimonianza di Bonaria Putzu
La signora descrive il rito della “medicina dell’occhio”, che richiede di fare il segno della croce recitando queste parole, che riportiamo tradotte in italiano:
“Questo è un occhio preso,
chi non ti ha toccato
ti toccherà Dio
e domani ti sentirai meglio.
Nel nome del padre del figlio e dello spirito santo”.
Seguono le preghiere del Padre nostro e dell’Ave Maria.
Il rito va compiuto con tre chicchi di grano: ogni volta che si getta il chicco nel bicchiere, pieno a metà di acqua benedetta, si recitano le precedenti parole seguite dalle due preghiere. Quindi si applica per tre volte l’acqua benedetta sulla persona dicendo ogni volta:
“Io ti tocco e Dio ti curi”.
La pratica può essere ripetuta per tre volte nell’arco della giornata.
La signora riferisce di avere appreso la pratica di questo rito dalla nonna, all’età di sedici anni e racconta che tuttora riceve richieste di aiuto da parte di molte persone.
La signora riferisce anche di una preghiera che si recita in caso di oggetti smarriti o rubati.
Il rito si pratica sulla soglia di casa pronunciando le seguenti parole, che riportiamo tradotte in italiano, precedute dal segno della croce:
“Sant’Antonio fammi vedere quest’oggetto che ho perso,
Sant’Antonio mio beato la corona che avete a lato
ve l’ha data la madre di Dio,
fatemi la grazia Sant’Antonio mio di poter trovare quest’oggetto
fatemi la grazia perchè siete santo e lo potete fare
voi che siete il figlio di Dio, fatemi la grazia Sant’Antonio mio”.
Dopo aver ripetuto il rito in dialetto, la signora dice che bisogna scrutare attentamente i passanti, cercando di interpretare tutto ciò che si vede.
A testimonianza dell’efficacia del rito, la signora racconta di alcuni ritrovamenti, avvenuti grazie a questa pratica.
L’intervistata inoltre riferisce di non essere a conoscenza dell’utilizzo di gioielli con valore apotropaico nella zona di Settimo San Pietro, anche se ricorda che perdere la fede dopo il matrimonio è un segno di sfortuna, che può portare alla morte di uno dei coniugi, come testimonia un episodio avvenuto in gioventù.
L’intervistata riferisce infine alcune curiosità relative ad oggetti particolari regalati o utilizzati in momenti importanti della vita. Una speciale rosa, ad esempio, posseduta da una donna abbiente di Settimo, veniva portata, secca e schiacciata, nelle case in cui doveva nascere un bambino; la rosa ritornava fresca se messa in un bicchiere d’acqua, solo nel caso della nascita di un bambino sano. Quando la rosa veniva tolta dall’acqua, rinsecchiva nuovamente.
L’intervistata inoltre riferisce che, in occasione del suo matrimonio, la madre le regalò una ciocca d’oro, in segno di buon augurio.
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una “donna esperta”
Testimonianza di una donna esperta
Il video inizia con una dimostrazione pratica del rito (N.d.C.).
Il sale grosso è un punto di riferimento nella pratica della “medicina dell’occhio”, il riso si usa come portafortuna e il sale grosso per scacciare il male; si usava anche mettere monete nella scarpa dello sposo o della sposa come augurio di prosperità. Era un rito tradizionale.
La tradizione richiedeva che la mamma dello sposo vestisse entrambi gli sposi, per ultimo doveva infilare le scarpe e ci metteva dentro una moneta, grande e di valore, per portargli fortuna, più era grande più era di buon augurio.
Ricordo anche che non dovevo vedere la camera da letto prima del matrimonio, era proprio chiusa a chiave e aveva la chiave addirittura mia suocera; dopo il matrimonio, quando sono entrata in casa, mia suocera mi ha dato la chiave, che tuttora tengo dietro la porta con un nastrino bianco, perché solo io dovevo aprire la porta della camera da letto.
Il nastrino era bianco per richiamare la purezza della sposa?
Penso per il candore, il bianco di solito rappresenta il candore, poi però ho trovato il letto pieno di sale e riso… e dicono di conservarne una manciata perché porta fortuna, come, ad esempio, porta fortuna rompere il piatto.
Il rito di s’erazia?
Sì, s’erazia e dicono anche di conservare un pezzo del piatto e di buttarlo sopra l’armadio.
Io ce l’ho, una signora anziana ha preso un pezzettino del piatto e l’ha gettato sopra il mio armadio e lo ritrovo tutte le volte che spolvero e lo lascio stare là.
è importante perpetuare queste tradizioni che altrimenti andrebbero perdute…
Probabilmente sì; noto che ormai i giovani non tengono molto a queste cose ed effettivamente rischiano di andare perdute.
Ad esempio, per la mia “medicina dell’occhio”, contro il malocchio. Ci devi credere perché non è una magia nera e neanche una magia bianca, perché c'è differenza tra magia bianca e magia nera. La magia nera è quella che viene fatta per far del male a qualcuno. Il malocchio può essere trasmesso per cattiveria, ma a volte può capitare che venga trasmesso inconsapevolmente da qualcuno che “porta il malocchio” senza saperlo.
A me è successo con mio figlio Giordano; non riuscivo a farlo battezzare perché stava sempre male e molti dicevano che se non riuscivo a battezzarlo il bambino avrebbe continuato a stare male; infatti era sempre malato, era colpa del malocchio e ho dovuto imparare il rito.
Chi te lo ha insegnato?
è stata una signora di Maracalagonis; e sai ho capito che ero io che lo “prendevo d’occhio”, perchè ero sempre io a contatto con lui, non c’è altra spiegazione. A casa c’ero solo io, mio marito era sempre fuori per lavoro e Davide, l’altro mio figlio, era troppo piccolo.
Succedeva che il bambino faceva qualcosa che a me piaceva, gli dicevo qualcosa di bello, ma poi non lo toccavo. Infatti quando si fa un complimento a qualcuno, poi bisogna toccarlo oppure dirgli anche qualcosa di negativo.
Lui cambiava completamente, era irrequieto oppure dormiva tutto il giorno; ne ho parlato con questa signora che mi ha detto che, secondo lei, il bambino era “preso d’occhio” ed ero stata io. Dopo che è stato battezzato non è più successo. Forse perché è cresciuto.
Succede soltanto ai bambini piccoli?
No, anche ai grandi, ma soprattutto ai bambini; il malocchio colpisce chiunque, anche piante e animali. Una volta avevo un acquario con dei bellissimi pesci. Un giorno viene una persona, è venuta solo quella persona, che lo ha guardato e un’ora dopo i pesci erano tutti a galla.
Scorausu, perché dicono che il malocchio colpisce il cuore.
Secondo te il malocchio ha a che fare con la religione? Perché molti lo confondono, molti pensano sia un tutt’uno con la religiosità.
No, guai a dire che il malocchio sia in comune con la religione. Ripeto non è magia nera, non è magia bianca, però i sacerdoti non ci credono. Se io, ad esempio, dico al sacerdote che ho praticato la “medicina del malocchio” lui disapprova.
è un peccato?
I sacerdoti non ci credono; sostengono che se abbiamo fede, la nostra fede ci deve far superare tutto.
Però tu sei religiosa?
Io sono religiosa, praticante; però a me è successo, io ho visto con i miei occhi. Io sono stata malissimo, andavo dal dottore, prendevo una medicina, ma questa medicina non faceva nessun effetto; ero più di un mese così, non vedevo nessun risultato e poi sai com’è… mi è venuto in mente di farmi “la medicina dell’occhio”.
Quindi si può fare anche verso se stessi?
Sì, ma non ha la stessa efficacia. La potenza è minore, però riesco a capire se ho il malocchio o altri dolori dal chicco di grano. In pratica quando si getta nell’acqua il chicco di grano, se la persona ha dei dolori, il chicco rimane orizzontale e capisco anche in che parte del corpo sono i dolori; in caso di malocchio invece, il chicco rimane dritto.
Capisco anche se è colpito dal malocchio da molto tempo e quante persone glielo hanno trasmesso, in base al numero dei chicchi che getto nell’acqua.
Quanti sono i chicchi?
Io di solito utilizzo cinque chicchi, però so che molte persone utilizzano venticinque chicchi, oppure l’olio. Quanti più chicchi si mettono più è potente, ma, secondo me, in fondo contano solo le preghiere. Si recitano preghiere, per questo la religione è contraria perché si pronuncia invano il nome della Madonna e si recita il Credo.
Al momento del rito sono essenziali le preghiere e il nome della persona colpita. E crederci!
Se ti chiedessi di farmi una dimostrazione pratica, tu lo potresti fare?
Lo posso fare perché sei più piccola di me, perché se rivelassi il rito ad una persona più grande poi non potrei più farlo perché non avrebbe effetto.
Inoltre non la posso fare più di tre volte al giorno e non chiedermi perché.
Tre è un numero magico in tutte le tradizioni mediterranee.
Non più di tre volte. E, ripeto, sono solo preghiere, per cui adesso la faccio, così riesco a capire se hai dolori o altro.
Si deve prendere un bicchiere, non tutti i bicchieri vanno bene, possibilmente deve essere un bicchiere di vetro trasparente e con il fondo tondo, non deve essere un bicchiere a calice perché non va bene. Si gettano i chicchi nell’acqua; i chicchi hanno il potere di muoversi. Se la persona è stata colpita dal malocchio il chicco si sposta e si separa dagli altri che rimangono uniti.
C’è una separazione tra i chicchi?
Se c’è il malocchio un chicco se ne va per conto suo, non rimane insieme agli altri; se invece non c’è niente, i chicchi rimangono uniti.
Ogni qualvolta hai praticato questo rito hai riscontrato che le persone sono state meglio?
Il malessere generale va via con un rutto, dopo che si beve l’acqua benedetta, utilizzata per il rito. Il rutto è segno che il male che sta andando via. Può succedere che non si riesca ad allontanare il malocchio anche dopo molti giorni; in questo caso è necessario che il rito venga compiuto da tre persone diverse e stare attenti che non ci sia di mezzo il giovedì.
Mi hanno parlato di sa giobia impizzusu.
Perché nel giovedì è più difficile che il rito riesca.
So di una neonata di Maracalagonis che era malata, raffreddata, però, nonostante l’avessero portata in ospedale, non riuscivano a farla guarire. Una signora gli ha fatto la “medicina dell’occhio”, ma era troppo tardi. Non so perché. Dall’autopsia risultò che la bambina aveva il cuoricino tagliato in due; infatti dicono che a lungo andare il cuore si apre in due.
Non è suggestione?
No, non può essere suggestione, perché, ad esempio, a me accade che mi sento male dopo che incontro sempre la stessa persona, non può essere solo una coincidenza. Mi si bloccano le gambe e mi viene un mal di testa tremendo, che non mi passa finché non mi faccio la “medicina dell’occhio” e bevo l’acqua benedetta.
Tu puoi essere considerata una “donna esperta”?
Non credo, perché ci sono dei segni che ancora non sono in grado di interpretare.
Ad esempio, ti racconto un fatto che mi è successo la settimana scorsa. Una mia amica aveva, da un paio di giorni, un fortissimo mal di testa che, nonostante le medicine, non passava; le ho fatto “la medicina dell’occhio” e risultava un segno che non sono riuscita a capire e di cui dovrò chiedere spiegazione a qualche signora anziana.
Si è formata una bolla sopra un chicco, da cui ho dedotto che aveva mal di testa, il chicco ha continuato a galleggiare anche dopo che è scoppiata la bolla. L’ho lasciato nell’acqua per tre giorni e poi si è aperto in due. Non mi era mai successo.
è passato il mal di testa alla tua amica?
Sì, poi le è passato.
Le è passato perché magari è passato tanto tempo.
Non lo so, è un segno che non avevo mai visto. A volte succede che si getta il chicco nell’acqua, si forma una bolla che poi scoppia e contemporaneamente il chicco scende giù. Significa che la persona “malata” sta guarendo oppure che il malocchio sta andando via.
Il sale rappresenta l’invidia.
Quando si getta il sale grosso nell’acqua, si forma una bollicina; se questa bollicina rimane sul pelo dell’acqua, c’è molta invidia, se invece scende tranquillamente sul fondo non c’è invidia.
A volte succede che una persona può non essere stata colpita dal malocchio, bensì dall’invidia. E, per guarire, deve bere l’acqua utilizzata nel rito.
Nonostante tu insegni questo rito puoi sempre continuare a praticarlo? Non perdi il dono?
Certo. Perché ognuno ha un dono diverso. Le anziane dicevano che qualcuno poteva avere più potere rispetto a qualcun’altro, non so, forse dipende dal modo di farla.
Io vorrei imparare il rito che utilizza l’olio perché è molto efficace, ma non trovo nessuno che sia in grado di insegnarmelo.
Esistono molte varianti per il rimedio contro il malocchio, perché, secondo me, cambia di paese in paese. Ad esempio, io so che a Settimo San Pietro qualcuno lo compie con lo sputo. Ho sentito parlare di una signora anziana che sputava nell’acqua. Ma a questo non sono interessata, ma il rito con l’olio mi piacerebbe impararlo. Anche perché così ho più strumenti per aiutare gli altri.
Quando hai insegnato il rito alla ragazza di cui mi hai parlato, l’hai fatto perché te l’ha chiesto oppure perché ti è sembrato che lei avesse una particolare predisposizione?
è successo quello che è capitato a me. Questa ragazza aveva sempre il bambino malato e mi telefonava in continuazione, fino a quando mi ha chiesto se le potevo insegnare il rito.
Lei adesso lo fa tranquillamente, però a volte... lei dice che a volte si sente di farlo e a volte non si sente.
Io ho notato una cosa. Quando devo compiere il rito e sono assolutamente tranquilla, le parole mi escono spontanee anche se sono distratta. Se invece c’è in me qualcosa che non va, mi blocco e non riesco ad andare avanti.
E a quel punto come fai?
A quel punto devo smettere, mi devo concentrare. Ci sono dei momenti che non sono adatti, perché ho fretta e le parole non escono.
Ci sono degli oggetti che si mettono ai bambini per allontanare il malocchio?
Il fiocchetto verde, però non funziona, oppure dicevano di mettere il prezzemolo verde nel panno. Io, ad esempio, consiglio di bere solo un poco dell’acqua benedetta e di buttare il resto su una pianta verde; inoltre non ci si deve avvicinare alla pianta per il resto della giornata, per non rischiare di riprendersi il malocchio.
Cosa sono sos dicciusu de forredda?
Sono storie, racconti.
Mia nonna paterna ci raccontava delle storie, soprattutto quando ci riunivamo attorno al canestro per sbucciare le mandorle. E mi raccontava sempre di questa signora che, di notte, si trasformava in gatto e andava a rubare gioielli, che al tempo erano, quasi esclusivamente, sos cadenazzusu… E, di notte, si sentiva passare questo gatto cun gustu cadenazzu…
E raccontava che una volta un vecchio era riuscito a prendere questo gatto e gli aveva mozzato una zampa; il giorno dopo notarono che alla signora mancava una mano e quindi trovarono una conferma ai loro sospetti. Poi da allora non si era più sentito niente... forse perché la signora era mutilata…
Raccontavano anche di un anello che regalavano al bambino quando era piccolo e che poi il bambino doveva regalare alla propria fidanzata, era una tradizione; ma succedeva soprattutto nelle famiglie dei ricchi e i ricchi in paese erano davvero pochi.
Chi veramente stava bene, aveva gioielli veramente belli, quelli fatti in filigrana.
Ho sentito parlare anche del cornetto che si metteva sulla culla del neonato per scacciare il malocchio; e dicono anche che il verde, sia proprio il colore della fortuna, della speranza.
Il colore però, secondo me, non serve. A mio figlio Giordano, ad esempio, gli mettevo sempre delle tutine verdi, ma non c’era verso, dovevo fargli la “medicina dell’occhio”, anche da grande, mentre non succedeva con l’altro mio figlio. Perché ci sono delle persone più predisposte, anche mia mamma mi racconta sempre che lei doveva farla spesso; dicono che ci sono persone più deboli. Non lo so se è vero o meno, ma ci sono persone che vengono colpite più di altre e in certi periodi dell’anno, cioè in autunno, forse perché comunque è anche il periodo della morte, mentre la primavera è la rinascita.
In autunno noto che mi chiamano più spesso, soprattutto per i bambini; è vero che in autunno ci si ammala di più, ma non è solo influenza, può essere l’uno e l’altro.
Mia cognata dice sempre che lei riesce a capire se si tratta di malocchio dalle ciglia; io invece non riesco. Dice che le ciglia diventano ammazzitadasa, si formano cioè dei mazzetti e lei riesce a capirlo. Infatti un giorno sono andata da lei perché mi sentivo malissimo e guardandomi gli occhi mi ha detto: «pitticca sa pigadura de ogu». L’ha riconosciuta subito.
Quindi anche tua cognata fa la “medicina dell’occhio”?
Sì, quella di mia cognata è potentissima.
Lei la fa diversamente da te?
Lei usa undici, dodici grani e, a volte, anche venticinque chicchi di grano.
Anche lei l’ha imparata da una signora anziana ed è diversa da come la faccio io, credo reciti sempre delle preghiere. Ma non può rivelarmi niente perché io sono più grande di lei.
Ma lei a te la può fare?
Sì, a volte le chiedo aiuto e nello stesso istante che lei pronuncia il mio nome, io mi sento già meglio. Ha questo effetto su di me, poi con gli altri non so.
Il malocchio ti blocca, non ti fa fare niente. Non hai voglia di fare niente. A volte mi succede di sdraiarmi sul divano e non riuscire a fare niente perché sono bloccata completamente, ho le gambe talmente pesanti... ti viene voglia proprio di sdraiarti.
Quindi è diverso dal solito malessere?
è diverso, io ormai lo distinguo. Premetto che io non ho mai mal di testa, mai. Quando ho il malocchio, ho mal di testa in continuazione e non mi passa; anche se mi riposo non passa, anzi si accentua e io capisco.
Ma tu ti accorgi di chi trasmette il malocchio?
è un dono sicuramente percepire se una persona...
Ma non credo che chiunque pratichi la “medicina dell’occhio” riesca a capirlo. Capita di associare determinate persone a malesseri; ad esempio a me succede di incontrare una certa persona e di esserne scontenta. Specialmente se mi guarda sono sconvolta e infatti ho sempre paura di incontrarla per strada, perché poi so che mi fa sentire male.
Mio marito dice che è suggestione, perché sa che con quella persona non vado d’accordo e mi condiziono da sola. Ma succede che fino a un certo momento sto bene, la vedo e sto male…, noi diciamo is frastimmusu, è una cosa del genere.
Anche involontariamente, ci sono persone che non hanno intenzione di pigai de ogu, ma purtroppo riescono a trasmettere il malocchio a chi è più debole.
Con la “medicina dell’occhio” vuoi fare del bene agli altri?
Sì, infatti dopo chiedo sempre come si sentono.
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Sa sabeggia, tipico amuleto della prima infanzia che viene appuntato nelle vesti del bambino o sistemato nella culla; è costituito da una piccola sfera di ossidiana o anche onice, vetro, pasta vitrea, giaietto, corallo, montata generalmente in argento e a cui possono essere fissati dei piccoli sonagli.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Manuela Nonnis.
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Amuleto composito, composto da una ciprea montata in argento, chiamata sorighe, soriche de mare, porceddana de mari e da sa perda de ogu costituita dall’opercolo della conchiglia Turbo rugosus comunemente chiamata occhio di Santa Lucia, anch’essa montata in argento.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Manuela Nonnis.
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Portaprofumo (nuschera), portaveleno o portaaghi, cilindretto realizzato in argento con tappo mobile utilizzato per contenere liquidi o piccoli oggetti metallici.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Portaprofumo (nuschera), portaveleno o portaaghi, cilindretto realizzato in argento con tappo mobile utilizzato per contenere liquidi o piccoli oggetti metallici.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Reliquiario in filigrana d’argento cuoriforme.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Reliquiario in filigrana d’argento cuoriforme.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: cintoretta - Nome italiano: fede sarda
Tipologia: anello
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina con filigrana
Forma predominante: cerchio
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: metà Ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: diametro cm 2
Collezione privata.Foto di Debora Locci.
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Nome originale: patena et cruxi - Nome italiano: patena con croce
Tipologia: medaglia
Metalli utilizzati: oro e madreperla
Tecniche utilizzate: lamina traforata e bombata, decori con filigrana
Forma predominante: cerchio e croce
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliari e Provincia
Periodo: metà Ottocento
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: cm 7-8
Collezione privata.Foto di Debora Locci.
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Antico rosario di legno nero.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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Antico rosario di legno nero.
Collezione privata.Foto di Manuela Nonnis.
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- images/morfeoshow/feste_e_chie-6660/big/01 Festa candelora fine 800.jpg20.jpg
Festa della candelora, fine Ottocento.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Is Priorissas. Festa della candelora, fine Ottocento.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
600422 - images/morfeoshow/feste_e_chie-6660/big/03 Candelora.jpg754.jpg
Festa della candelora, fine Ottocento.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
410600 - images/morfeoshow/feste_e_chie-6660/big/04 Prima comunione 1940.jpg384.jpg
Prima comunione, 1940.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Matrimonio, 1945.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Chierichetti, 1946.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Prima comunione, 1961.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
380600 - images/morfeoshow/feste_e_chie-6660/big/08 Processione San Isidoro.jpg355.jpg
Processione Sant’Isidoro.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Processione Sant’Isidoro.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Chiesa campestre di San Giovanni.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Chiesa campestre di San Giovanni.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Chiesa campestre di San Giovanni.
Sul lato destro sono stati scoperti importanti resti di un edificio tardo romano in corso di scavo.Foto di Alberto Soi.
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Facciata della chiesa campestre di San Giovanni.
La chiesa è circondata da ulivi secolari.Foto di Alberto Soi.
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Chiesa campestre di San Giovanni.
L’interno si articola su tre navate con copertura a capriate lignee.Foto di Alberto Soi.
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Chiesa campestre di San Giovanni.
Il riuso di materiali di età classica e l’ingenuità delle soluzioni costruttive dichiarano l’origine di devozione popolare della chiesa.Foto di Alberto Soi.
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Festa di San Giovanni Scadrai; il Santo è portato in spalla dai giovani che dovevano partire per la leva.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di San Giovanni Scadrai.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di Corpus Domini degli anni Cinquanta.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di Corpus Domini degli anni Cinquanta.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di Corpus Domini degli anni Cinquanta.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di Corpus Domini degli anni Cinquanta.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di Corpus Domini degli anni Cinquanta.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Festa di San Pietro.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Il gruppo folcloristico di Settimo San Pietro durante la processione di San Pietro a Settimo.
Archivio comunale di Settimo San Pietro.
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Antico cocchio tradizionale di Settimo San Pietro, impiegato per il trasporto dei Santi durante le processioni.
Foto di Manuela Nonnis.
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Esemplari di bue rosso della Sardegna, addobbati a festa e impiegati per il trasporto del Santo durante la processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Esemplari di bue rosso della Sardegna, addobbati a festa e impiegati per il trasporto del Santo durante la processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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I buoi vengono aggiogati al cocchio.
Foto di Manuela Nonnis.
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Il cocchio è pronto per accogliere il Santo di fronte alla chiesa di San Pietro.
Foto di Manuela Nonnis.
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Il Santo viene condotto dai fedeli fuori dalla chiesa e introdotto nel cocchio.
Foto di Manuela Nonnis.
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Il Santo viene condotto dai fedeli fuori dalla chiesa e introdotto nel cocchio.
Foto di Manuela Nonnis.
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Il Santo viene condotto dai fedeli fuori dalla chiesa e introdotto nel cocchio.
Foto di Manuela Nonnis.
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Il Santo viene condotto dai fedeli fuori dalla chiesa e introdotto nel cocchio.
Foto di Manuela Nonnis.
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Fedeli nella piazza attendono l’inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Fedeli nella piazza attendono l’inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Uomini e donne a cavallo in costume settimese che, secondo la tradizione, precedono il cocchio del Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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Uomini e donne a cavallo in costume settimese che, secondo la tradizione, precedono il cocchio del Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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Uomini e donne a cavallo in costume settimese che, secondo la tradizione, precedono il cocchio del Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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Uomini e donne a cavallo in costume settimese che, secondo la tradizione, precedono il cocchio del Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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Uomini e donne a cavallo in costume settimese che, secondo la tradizione, precedono il cocchio del Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Inizio della processione.
Foto di Manuela Nonnis.
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Stendardi e gonfaloni delle confraternite.
Foto di Manuela Nonnis.
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Stendardi e gonfaloni delle confraternite.
Foto di Manuela Nonnis.
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Nelle vie del paese.
Foto di Manuela Nonnis.
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Nelle vie del paese.
Foto di Manuela Nonnis.
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Nelle vie del paese.
Foto di Manuela Nonnis.
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La folla di fedeli che segue il Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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La folla di fedeli che segue il Santo.
Foto di Manuela Nonnis.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
Il sagrato si affaccia sulla campagna verso il colle di Cuccuru Nuraxi con cui stabilisce una forte relazione.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
L’impianto, realizzato su forme gotico aragonesi, risale al XIV secolo e ha avuto pesanti rimaneggiamenti nel secolo XIX.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
Particolare in cui si nota il ricovero del cocchio che trasporta in processione la statua del Santo.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
Classica copertura catalano-aragonese in maiolica colorata delle cappelle laterali della navata destra.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
La volta a crociera del coro nell’abside della chiesa.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
La volta della sacrestia.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
Cristo in croce, pregevole opera di ignoto del XVIII secolo.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
La cappella del fonte battesimale conserva le decorazioni gotico aragonesi, in primo piano due leoni stilofori di scuola pisana del XIII secolo. Il fonte battesimale è ottocentesco.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
Particolare delle decorazioni e delle coperture a volta della cappella del fonte battesimale.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro.
Uno dei due leoni stilofori della cappella del fonte battesimale.Foto di Alberto Soi.
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La chiesa campestre di San Pietro di impianto paleocristiano.
Foto di Alberto Soi.
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Chiesa campestre di San Pietro.
Particolare di acquasantiera inserita tra i conci della facciata.Foto di Alberto Soi.
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L’artigianato
- gioielli
-
Daniele Porceddu
Testimonianza di Daniele Porceddu
Nel corso dell’intervista, di cui si trascrivono le parti principali, vengono descritti e mostrati i gioielli tradizionali antichi e le riproduzioni dell’orafo (N.d.R.).
Due anni fa qui in negozio non veniva nessuno, proprio nessuno; era il mese di dicembre, un mese in cui di solito noi lavoriamo e quindi mi sono un po’ preoccupato. Un giorno è venuta una zia acquisita e mi ha detto: «Daniele, ti faccio una cosa!», aveva già tutto in macchina, aveva bicchiere, acqua, grano, sale e mi ha fatto la famosa “medicina dell’occhio”. Dal giorno dopo entravano tantissime persone in negozio. Poteva essere casuale, ma ho iniziato a crederci..., la sera addirittura!
La sera addirittura?
L’ha fatta la mattina e la sera... quindi alla fine del giorno...; l’ho fatta fare anche quest’anno...
Ogni anno?
La faccio fare ogni anno! è diventato un rito.
Si utilizza qualche gioiello?
No, gioielli no, però so che sa sabeggia o sebeze, ha vari nomi, questa pietra di ossidiana, quando qualcuno “viene preso d’occhio”, si spacca... è considerata quindi una pietra che protegge dal malocchio soprattutto i bambini, mentre questo amuleto con la conchiglia è chiamato occhio di Santa Lucia e protegge più che altro gli occhi; Santa Lucia è infatti la protettrice degli occhi. E poi dicono che anche il corallo protegge.
Sì, porta fortuna anche il corallo, anche per il colore rosso.
Parliamo del tuo amore per la tradizione sarda.
è nato tutto grazie a mio suocero (Fernando Pisu, N.d.R.), un appassionato; sei anni fa lui ha deciso di rifondare la Pro Loco di Settimo.
Quindi lui è proprio il presidente?
No, non è il presidente, però è il fondatore...
Lui ha rimesso tutto in moto, noi ragazzi ci siamo impegnati e abbiamo costituito un gruppo folk, anche dapprima che ci fosse la Pro Loco. Quindi, ripeto, perché a mio suocero piacevano queste cose, partecipavamo alla sagra di Sant’Efisio, alla festa di San Pietro e San Giovanni qui a Settimo, siamo andati a Sassari, a Nuoro; questa cosa ci piace e andiamo avanti.
I gioielli, questo lavoro, ho iniziato alcuni anni fa.
Stavo facendo un lavoro che non mi piaceva, poi ho fatto il militare e in seguito mio suocero mi ha suggerito di provare a imparare a fare l’orafo. Sono andato a Cagliari, dall’orafo Busonera, un orafo molto bravo che mi ha messo subito alla prova chiedendomi di realizzare su lasu, un gioiello composto da tre pezzi con tre nomi diversi.
C’è il fiocco che è l’elemento della parte superiore. E io l’ho realizzato in argento. La prima volta mi ha fatto fare questo fiocco. Io dovevo fare i pezzi in filigrana, uno a uno. Non ero ancora esperto nella saldatura, quindi lo ha saldato lui e io ho realizzato proprio questo fiocco.
Dal giorno mi ha voluto con sé; all’inizio non ero retribuito, lui mi ha insegnato il mestiere e trasmesso la passione, ma non potevo continuare a lavorare senza guadagnare e così, con mia moglie e mio suocero, abbiamo deciso di intraprendere la mia attività a Settimo.
Ho proprio la passione per questo lavoro, certi gioielli che indossa mia moglie Grazia sono stati realizzati da me, ma ho anche gioielli antichi, tramandati dai trisnonni. Perché, comunque, per poter riprodurre al meglio un gioiello antico è utile, oltre ai libri, avere anche l’oggetto.
Questi, ad esempio, sono orecchini antichi, si chiamano orecchini a palia, perché sono a forma di pala; la pala è un simbolo, rappresenta la funzione della donna che faceva il pane e la utilizzava per prenderlo dal forno. Questi orecchini erano indossati infatti da is panetterasa.
Questo è un oggetto portafortuna, oppure veniva usato anche come portaveleno; secondo me era più un portaprofumo perché il portaveleno era contenuto in una tipologia di oggetto in orizzontale.
Si utilizzava soprattutto l’argento; pochi si potevano permettere gli oggetti in oro e non era neanche oro a 750 carati, ma mettevano più rame che dava un aspetto più rosso. Io ora utilizzo l’oro a 750 carati, ma lo metto dentro un liquido che gli dà un aspetto antichizzato perché la clientela è molto interessata a questo aspetto, non piace molto l’oro giallo.
Questa è una fede di fidanzamento, che si usava molto tempo fa: è composto da due piccole mani che si uniscono all’altezza di un cuore centrale.
Questa fede è tipica di Settimo San Pietro?
Questa è tipica settimese, ma si trova anche in altre parti della Sardegna.
Però nasce a Settimo San Pietro?
Non vorrei sbagliarmi, però mi sembra sia nata proprio a Settimo, oppure qualcuno molto ricco, l’ha portata a Settimo da Cagliari.
A Settimo San Pietro la realizzi solo tu?
Non solo a Settimo ma anche in zona e credo anche a Cagliari. Molti vengono da Sinnai per comprarle, non è facile realizzarla, perché i diversi elementi devono combaciare perfettamente.
Per quanto riguarda le spille, mi hanno detto che non si usava regalarle. Perché?
Per la punta, perché regalare qualcosa di appuntito portava male e, quindi, quando capitava che venissero regalate, per portare via il dolore si chiedeva simbolicamente in cambio una moneta. Inoltre c'è anche un giorno in cui non si può regalare, mi sembra in occasione della nascita di un bambino.
Questi sono gli orecchini a caboniscu.
Sono antichi?
No, questi sono realizzati da me.
Sembrano antichissimi.
Li ho realizzati sulla base di un modello antico e c’è voluto moltissimo lavoro per ottenere questo risultato. Questi sono quelli che usa mia moglie Grazia quando si veste in costume.
La maninfide (la fede tipica di Settimo di cui si parla prima, N.d.R.), che significa mano nella fede, è un anello di fidanzamento che precede la fede nuziale e non si deve confondere con l’anello di Santa Rita che gli assomiglia, ma le cui manine sono fisse.
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Nome originale: cannacca a pibionis - Nome italiano: collana
Tipologia: collana
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina con filigrana
Forma predominante: mammellare
Stilemi adottati: acino
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 30
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
600450 - images/morfeoshow/gioielli-8252/big/02 Arreccadas a palia.JPG11.jpg
Nome originale: arrecadas a palia - Nome italiano: orecchini
Tipologia: orecchini
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina traforata e filigranata
Forma predominante: rettangolo
Stilemi adottati: pala da fornaio
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: lunghezza cm 9
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: arrecadas - Nome italiano: orecchini
Tipologia: orecchini
Metalli utilizzati: argento, corallo
Tecniche utilizzate: ovale in lamina d’argento festonato con bulino e filo ritorto
Forma predominante: conica
Stilemi adottati: solare
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: medio-alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 6
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: arrecadas a caboniscu e lantioni - Nome italiano: orecchini con galletto al centro e pendaglio a forma di lanterna
Tipologia: orecchini
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina con filigrana, filo ritorto a granuli
Forma predominante: zoomorfa
Stilemi adottati: gallo, lanterna
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 6
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: dòminu - Nome italiano: pendente
Tipologia: pendente
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: losanga traforata e lavorata in filigrana
Forma predominante: floreale
Stilemi adottati: fiori
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Provincia di Cagliari
Periodo: fine XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: diametro cm 5
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: lasu - Nome italiano: pendente
Tipologia: pendente
Metalli utilizzati: oro
Tecniche utilizzate: lamina rifinita in filigrana
Forma predominante: circolare
Stilemi adottati: floreale
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Campidano
Periodo: XIX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: buone
Dimensioni: lunghezza cm 16
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Nome originale: broscia - Nome italiano: spilla
Tipologia: spilla
Metalli utilizzati: argento
Tecniche utilizzate: lamina decorata con motivi floreali
Forma predominante: ellissoide
Stilemi adottati: floreale
Area di provenienza: Settimo San Pietro
Area di diffusione: Cagliaritano
Periodo: XX secolo
Livello manifattura: alto
Condizioni: ottime
Dimensioni: lunghezza cm 8
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Gianni Piu.
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Su girasoli, spilla a forma di fiore in lamina d’oro con rubino centrale e scaramazze. Nel Campidano di Cagliari era il primo regalo che la famiglia del fidanzato portava in dono alla futura sposa.
Collezione Daniele Porceddu.Foto di Manuela Nonnis.
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Is prendas
Sètimu est un bidda chi fait vida moderna ma ancoras s’agatat su connotu biu de s’ànima sua. Sa genti de Sètimu pagu bortas narat de crei cun siguresa a s’ogu malu e a is mexinas, ma in capas est cosa chi intendit meda, mancai no ndi scìpiat beni su sentidu o is tentas.
Su connotu de sa mexina de s’ogu sighit chentza de cambiai e is testimòngius contant medas maneras de dda fai, donendi informus apitzus de su sentidu maxiosu de is fueddus e de is prendas, mancai s’idea de una prenda po bogai sa malasorti siat sparèssia a pagu a pagu.
Sa genti sighit a arregalai prendas po is passus de importu de sa vida, cumenti su nascimentu, sa coja e aici nendi, chi cumandat e comporat a caru in is orerias, ma no funt medas a sciri su sentidu e su poderi chi custas prendas iant a tenni. Sighint arregalai sa bègia po su batiari, macai no ddi donint poderi de mexina.
Atras bortas s’agatat genti chi allogat is prendas de s’aredeu, medas puru, mancai chi no siant interessaus e ddu faint prus chi atru po s’arregordu o po su balori de dinai. A su contras, atra genti, speddiada po su connotu de su pòpulu, pinnigat noas, testimòngius e dogumentus, e fait sighiri a bivi su connotu de is prendas po s’ogu malu, ca no tocat a ddu cuai o a si ndi bregungiai, ca est una parti de su mosaicu mannu de sa curtura sarda. Funt de importu is informus chi s’at donau Fernandu Pisu, de sa stòria e de su connotu de sa bidda, e Danieli Porceddu s’oreri, spertu de prendas sardas e de s’idea simbòlica e apotropaica de is prendas e totu.
Is dogumentus de màginis, cun d-una pariga de vìdeus, faint una mirada de is prendas de Sètimu, de cuddas antigas medas a atras prus modernas.
Is prus bellas funt is arrecadas e su lasu. Is arrecadas funt a caboniscu e lantioni (cun d-unu cabonischeddu a centru e unu lantioni a pendi), a pàlia e, in prus, s’agatant is lòrigas a mura (de folla de oru stampada, cun sa filigrana, is scaramatzas e una mura a pendi).
Su lasu est de oru, ddu portant acapiau a su tzugu cun d-una feta chi propiamenti ddi nant lasu etotu. Ddu faint in totu Campidanu de Casteddu, cun cambiamentus piticus, tenit tres elementus snuaus de folla de oru cun filigrana: su frocu, sa gioja e su dòminu, chi portat sempri unu cameu de fèmina. De su dòminu calant tres filus de oru cun scaramatzas e donniunu de is tres elementus est acapiau a is atrus cun una màllia chi fait a oberri, de manera chi fetzat a ddus imperai sciortus puru.
De is agullas, in Campidanu de Casteddu, sa famìllia de su sposu arregalàt a sa picioca, po primu cosa, su girasoli, a forma de frori, de folla de oru cun arrubinu in mesu e scaramatzas. Teniant fintzas sa margherita, po firmai su sciallu in conca, e su picioni, de folla de oru cun filigrana, chi s’agatat meda in sa Sardìnnia de giossu.
Una prenda stravanada est sa maninfida, un’aneddu antigu se sposòriu chi s’agatat in totu Sardìnnia e in su Mesuderràniu. Ddu faint tres lorigheddas chi sa de centru portat unu corixeddu sardau, is duas de ladu si oberint e portant donniuna una manixedda de oru. Serrendi is lòrigas, is manus si giungint in pitzus de su coru. Eus agatau fintzas una nuschera de prata cun su tuponi, chi dda podiant imperai po pagu pagu cosa lìchida o po cosa pitica cumenti is agullas po cosiri.
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