La vanità
- gioielli
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Vincenzo Porcu
Testimonianza di Vincenzo Porcu
Nel 1991 ho condotto una ricerca, nell’archivio comunale di San Sperate, sulle tradizioni del paese, per una pubblicazione curata da Salvatore Naitza, coadiuvato, per la parte fotografica, da Pablo Volta.
Per quanto riguarda i gioielli abbiamo trovato che solo alcune famiglie benestanti possedevano e indossavano gioielli, per di più di foggia tradizionale.
Molti di questi gioielli, che erano stati tagliati in più parti, sono stati ricomposti e fotografati. Lavoro che si è rivelato poco fruttuoso perché professor Naitza non lo valutò importante ai fini della pubblicazione, in quanto tutti i gioielli erano di provenienza barbaricina.
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Rita Ibba e Ida Pillitu
Testimonianza di Rita Ibba e Ida Pillitu
Per quel che sappiamo a San Sperate non vi è una grande tradizione di gioielli antichi, perché il paese in passato era piuttosto povero. Solamente verso gli anni Sessanta è cambiato qualcosa con la coltivazione delle pesche e la relativa sagra, migliorando, in maniera considerevole, il reddito delle famiglie degli agricoltori.
In passato i pochi gioielli che si regalavano erano legati alle più importanti ricorrenze: battesimi, cresime e matrimoni. Quando il futuro sposo chiedeva la mano della sposa, le regalava un gioiello. I preziosi che venivano regalati alla sposa erano riposti all’interno di un piccolo cesto di paglia (su cofinu), chi ne aveva la possibilità lo impreziosiva ulteriormente con decorazioni e quant’altro. Tutte le donne delle famiglie più ricche indossavano o compravano per l’occasione, grosse collane d’oro (cannaccas).
Le donne ricche quando diventavano anziane dividevano i loro preziosi tra tutte le donne della famiglia, quindi anche le collane più belle, venivano spezzettate, perdendo il loro valore originario. L’unico valore che rimaneva era quello sentimentale del ricordo.
Non abbiamo mai posseduto nessun gioiello importante d’oro, mia madre aveva solamente la fede e, negli anni del fascismo, dovette donarla alla patria. Era un obbligo donarla, altrimenti si veniva segnalati. Di conseguenza tutti hanno donato i propri preziosi, specialmente chi aveva i propri cari in guerra, perché si lasciava intendere che, se non si faceva un sacrificio per la patria, essi non sarebbero più ritornati.
Anche per il battesimo si regalava un gioiello. Di solito alle bambine venivano regalati degli orecchini. Per indossarli venivano fatti i fori alle orecchie con piccoli orecchini d’argento. Era il dono che facevano tutte le madrine; le bambine più fortunate ricevevano qualcosa anche dalla nonna. Per la cresima, qualche volta, si riceveva dalla madrina una collana, ma potevano permetterselo solo le più ricche, mentre la maggior parte delle bambine riceva un piccolo rosario d’argento.
Le famiglie più facoltose compravano i gioielli a Cagliari. Non si usava donare i gioielli ai santi per “grazia ricevuta”; come voto invece si usava far indossare ai bambini abiti da suora o da frate per alcuni anni.
Gli uomini delle famiglie più ricche portavano i bottoni d’argento ai polsini; pochi quelli che li avevano in oro. Ugualmente le catene da orologio erano per lo più in argento.
Mia madre aveva una spilla con tre bottoni, gli era stata donata da sua madre quando si era fidanzata. Mio padre, invece, indossava solo due bottoni sul colletto. Li regalò poi a mia madre che li aveva fatti aggiungere a un piccolo bracciale, per la nascita del primo figlio.
Affinché il grembiale fasciasse i fianchi si usava una catenella d’argento (su giunchìlliu), a questa si potevano appendere a scelta piccoli oggetti, come forbicine o medagliette dei santi. La catenella, come le collane, veniva ripartita in più parti per lasciare un ricordo a tutti.
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Rita Ibba e Ida Pillitu - seconda parte
Testimonianza di Rita Ibba e Ida Pillitu
Per quel che sappiamo a San Sperate non vi è una grande tradizione di gioielli antichi, perché il paese in passato era piuttosto povero. Solamente verso gli anni Sessanta è cambiato qualcosa con la coltivazione delle pesche e la relativa sagra, migliorando, in maniera considerevole, il reddito delle famiglie degli agricoltori.
In passato i pochi gioielli che si regalavano erano legati alle più importanti ricorrenze: battesimi, cresime e matrimoni. Quando il futuro sposo chiedeva la mano della sposa, le regalava un gioiello. I preziosi che venivano regalati alla sposa erano riposti all’interno di un piccolo cesto di paglia (su cofinu), chi ne aveva la possibilità lo impreziosiva ulteriormente con decorazioni e quant’altro. Tutte le donne delle famiglie più ricche indossavano o compravano per l’occasione, grosse collane d’oro (cannaccas).
Le donne ricche quando diventavano anziane dividevano i loro preziosi tra tutte le donne della famiglia, quindi anche le collane più belle, venivano spezzettate, perdendo il loro valore originario. L’unico valore che rimaneva era quello sentimentale del ricordo.
Non abbiamo mai posseduto nessun gioiello importante d’oro, mia madre aveva solamente la fede e, negli anni del fascismo, dovette donarla alla patria. Era un obbligo donarla, altrimenti si veniva segnalati. Di conseguenza tutti hanno donato i propri preziosi, specialmente chi aveva i propri cari in guerra, perché si lasciava intendere che, se non si faceva un sacrificio per la patria, essi non sarebbero più ritornati.
Anche per il battesimo si regalava un gioiello. Di solito alle bambine venivano regalati degli orecchini. Per indossarli venivano fatti i fori alle orecchie con piccoli orecchini d’argento. Era il dono che facevano tutte le madrine; le bambine più fortunate ricevevano qualcosa anche dalla nonna. Per la cresima, qualche volta, si riceveva dalla madrina una collana, ma potevano permetterselo solo le più ricche, mentre la maggior parte delle bambine riceva un piccolo rosario d’argento.
Le famiglie più facoltose compravano i gioielli a Cagliari. Non si usava donare i gioielli ai santi per “grazia ricevuta”; come voto invece si usava far indossare ai bambini abiti da suora o da frate per alcuni anni.
Gli uomini delle famiglie più ricche portavano i bottoni d’argento ai polsini; pochi quelli che li avevano in oro. Ugualmente le catene da orologio erano per lo più in argento.
Mia madre aveva una spilla con tre bottoni, gli era stata donata da sua madre quando si era fidanzata. Mio padre, invece, indossava solo due bottoni sul colletto. Li regalò poi a mia madre che li aveva fatti aggiungere a un piccolo bracciale, per la nascita del primo figlio.
Affinché il grembiale fasciasse i fianchi si usava una catenella d’argento (su giunchìlliu), a questa si potevano appendere a scelta piccoli oggetti, come forbicine o medagliette dei santi. La catenella, come le collane, veniva ripartita in più parti per lasciare un ricordo a tutti.
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Anello in argento con la fascia superiore realizzata a specchio con granulazione e piccole sfere.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Fede sarda realizzata interamente a mano su lamina d’oro, microsfere e foglioline e ritagliata a traforo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Fede sarda con la fascia superiore realizzata a fusione con granulazione a piccole sfere.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Maninfide in oro, classico e antico anello di fidanzamento con raffigurazione di due mani che si stringono.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro con rubino incastonato, rielaborazione del bottone tradizionale. Esistono, pur con innumerevoli varianti, tre tipologie fondamentali di bottone: pigna, melagrana e mammellare.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rielaborazione dell’anello spagnolo di fidanzamento e matrimonio, in oro con castone centrale in pasta vitrea e circondato da rubini e paste vitree di vari colori.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rielaborazione dell’anello spagnolo di fidanzamento e matrimonio, in oro con castone centrale in pasta vitrea e circondato da rubini e paste vitree di vari colori.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bottoni in oro costituiti da una calotta inferiore realizzata in filigrana e da una calotta superiore in lamina liscia ricoperta di filigrana avvolta a spirale dall’alto verso il basso. Sulla filigrana sono applicate, con alcune varianti, piccole decorazioni in lamina d’oro e granulazione. Al centro è incastonato un vetro rosso o azzurro. Di probabile derivazione punica, il bottone è l’elemento più comune dei costumi isolani. I gemelli e i bottoni, generalmente in coppia, ornano il collo e i polsi della camicia e il corsetto dei costumi, sia maschili che femminili.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bottoni in oro costituiti da una calotta inferiore realizzata in filigrana e da una calotta superiore in lamina liscia ricoperta di filigrana avvolta a spirale dall’alto verso il basso. Sulla filigrana sono applicate, con alcune varianti, piccole decorazioni in lamina d’oro e granulazione. Al centro è incastonato un vetro rosso o azzurro. Di probabile derivazione punica, il bottone è l’elemento più comune dei costumi isolani. I gemelli e i bottoni, generalmente in coppia, ornano il collo e i polsi della camicia e il corsetto dei costumi, sia maschili che femminili.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bottoni in oro costituiti da una calotta inferiore realizzata in filigrana e da una calotta superiore in lamina liscia ricoperta di filigrana avvolta a spirale dall’alto verso il basso. Sulla filigrana sono applicate, con alcune varianti, piccole decorazioni in lamina d’oro e granulazione. Al centro è incastonato un vetro rosso o azzurro. Di probabile derivazione punica, il bottone è l’elemento più comune dei costumi isolani. I gemelli e i bottoni, generalmente in coppia, ornano il collo e i polsi della camicia e il corsetto dei costumi, sia maschili che femminili.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bottoni in oro costituiti da una calotta inferiore realizzata in filigrana e da una calotta superiore in lamina liscia ricoperta di filigrana avvolta a spirale dall’alto verso il basso. Sulla filigrana sono applicate, con alcune varianti, piccole decorazioni in lamina d’oro e granulazione. Al centro è incastonato un vetro rosso o azzurro. Di probabile derivazione punica, il bottone è l’elemento più comune dei costumi isolani. I gemelli e i bottoni, generalmente in coppia, ornano il collo e i polsi della camicia e il corsetto dei costumi, sia maschili che femminili.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bottoni in oro costituiti da una calotta inferiore realizzata in filigrana e da una calotta superiore in lamina liscia ricoperta di filigrana avvolta a spirale dall’alto verso il basso. Sulla filigrana sono applicate, con alcune varianti, piccole decorazioni in lamina d’oro e granulazione. Al centro è incastonato un vetro rosso o azzurro. Di probabile derivazione punica, il bottone è l’elemento più comune dei costumi isolani. I gemelli e i bottoni, generalmente in coppia, ornano il collo e i polsi della camicia e il corsetto dei costumi, sia maschili che femminili.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rielaborazione della collana, riconducibile all’influenza spagnola, denominata cannacca. Composta da elementi sferici in oro iscritti in una struttura geometrica con applicazioni in filo d’oro ritorto e in lamina d’oro con cordonature in filo ritorto.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bracciale in oro con la lavorazione della tipica fede sarda, microsfere e lamine in oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bracciale in oro con la lavorazione della tipica fede sarda, microsfere e lamine in oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro con la lavorazione della tipica fede sarda, microsfere e lamine in oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro con la lavorazione della tipica fede sarda, microsfere e lamine in oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro dalla forma circolare con decorazione floreale interamente realizzati a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro dalla forma circolare con decorazione floreale interamente realizzati a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro, rielaborazione di pendenti tradizionali, con lavorazione in filigrana, microsfere e lamine in oro, e incastonati vetri colorati e perline.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro, rielaborazione di pendenti tradizionali, con lavorazione in filigrana, microsfere e lamine in oro, e incastonati vetri colorati e perline.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro, rielaborazione del pendente tipico di Oliena chiamato su sole, in lamina e filigrana a giorno; nella parte centrale di questo pendente compaiono di frequente dei simboli (cuore, chiave).
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro, rielaborazione del pendente tipico di Oliena chiamato su sole, in lamina e filigrana a giorno; nella parte centrale di questo pendente compaiono di frequente dei simboli (cuore, chiave). In questa variante compare una piccola stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in filigrana e filo d’oro ritorto con granulazione.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in filigrana e filo d’oro ritorto con granulazione.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in oro, rielaborazione del bottone tradizionale nella variante definita “a pigna”.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rielaborazione del pendente tipico di Oliena chiamato su sole, in lamina e filigrana a giorno; nella parte centrale di questo pendente compaiono di frequente dei simboli (cuore, chiave). In questa variante compare una piccola stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendenti in oro con incastonate delle pietre o vetri colorati. I pendenti, quando non facevano parte del gioiello chiamato su lasu, si portavano appesi a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendenti in oro con incastonate delle pietre o vetri colorati. I pendenti, quando non facevano parte del gioiello chiamato su lasu, si portavano appesi a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendenti in oro con incastonate delle pietre o vetri colorati. I pendenti, quando non facevano parte del gioiello chiamato su lasu, si portavano appesi a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendenti in oro con incastonate delle pietre o vetri colorati. I pendenti, quando non facevano parte del gioiello chiamato su lasu, si portavano appesi a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendenti in oro con incastonate delle pietre o vetri colorati. I pendenti, quando non facevano parte del gioiello chiamato su lasu, si portavano appesi a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente in oro con rubino incastonato, rielaborazione del bottone tradizionale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente in oro, caratteristico dell’abbigliamento festivo ittirese. Si portava con una lunga catena d’oro disposta sul petto a formare una M e fermata lateralmente da due spille d’oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente in oro, caratteristico dell’abbigliamento festivo ittirese. Si portava con una lunga catena d’oro disposta sul petto a formare una M e fermata lateralmente da due spille d’oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente in oro, caratteristico dell’abbigliamento festivo ittirese. Si portava con una lunga catena d’oro disposta sul petto a formare una M e fermata lateralmente da due spille d’oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla oro con rubino incastonato, rielaborazione del bottone tradizionale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla oro con rubino incastonato, rielaborazione del bottone tradizionale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla oro con rubino incastonato, rielaborazione del bottone tradizionale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in lamina e filigrana d’oro, scaramazze e vetro colorato.
È assai diffuso, nell’oreficeria popolare del XIX secolo, l’uso combinato di motivi floreali in filigrana opaca e in lamina lucidissima, per ottenere contrasti di luce e di colore. Nella gioielleria sarda questo accorgimento è stato usato soprattutto nella realizzazione di spille a forma di fiore, di cuore e di stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in lamina e filigrana d’oro, scaramazze e vetro colorato.
È assai diffuso, nell’oreficeria popolare del XIX secolo, l’uso combinato di motivi floreali in filigrana opaca e in lamina lucidissima, per ottenere contrasti di luce e di colore. Nella gioielleria sarda questo accorgimento è stato usato soprattutto nella realizzazione di spille a forma di fiore, di cuore e di stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in lamina e filigrana d’oro, scaramazze e vetro colorato.
È assai diffuso, nell’oreficeria popolare del XIX secolo, l’uso combinato di motivi floreali in filigrana opaca e in lamina lucidissima, per ottenere contrasti di luce e di colore. Nella gioielleria sarda questo accorgimento è stato usato soprattutto nella realizzazione di spille a forma di fiore, di cuore e di stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in lamina e filigrana d’oro, scaramazze e vetro colorato.
È assai diffuso, nell’oreficeria popolare del XIX secolo, l’uso combinato di motivi floreali in filigrana opaca e in lamina lucidissima, per ottenere contrasti di luce e di colore. Nella gioielleria sarda questo accorgimento è stato usato soprattutto nella realizzazione di spille a forma di fiore, di cuore e di stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in lamina e filigrana d’oro, scaramazze e vetro colorato.
È assai diffuso, nell’oreficeria popolare del XIX secolo, l’uso combinato di motivi floreali in filigrana opaca e in lamina lucidissima, per ottenere contrasti di luce e di colore. Nella gioielleria sarda questo accorgimento è stato usato soprattutto nella realizzazione di spille a forma di fiore, di cuore e di stella.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in oro, rielaborazione del pendente chiamato su lasu, che si portava appeso a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in oro, rielaborazione del pendente chiamato su lasu, che si portava appeso a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in oro, rielaborazione del pendente chiamato su lasu, che si portava appeso a un nastrino di velluto intorno al collo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
343600
La magia
- gioielli
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Salvatore Mossa
Testimonianza di Salvatore Mossa
A San Sperate, all’inizio del Novecento, non vi era un largo uso di gioielli tradizionali, i pochi oggetti preziosi arrivavano nelle famiglie in occasione delle ricorrenze come, per esempio, battesimi, ma erano comunque oggetti di poco valore.
Vi erano dei gioielli che venivano donati ai bambini, come sa sabègia, in quanto si credeva avessero il potere di difendere dal malocchio. Questi amuleti montavano una pietra di giavazzo o d’onice, simbolo dell’occhio buono contro quello cattivo.
Alle bambine venivano regalati dei piccoli orecchini, per poter praticare il foro; la nonna (madrina) era quella che di solito regalava gli orecchini più belli, spesso in oro con forma di piccole lampade antiche. L’oro di un tempo aveva un colore tendente al rosso, una lega sicuramente più povera di quella attuale, con una grossa percentuale di rame.
La collana con le grosse sfere d’oro - sa cannacca a pibionis - tipica del Campidano, come del resto i bottoni, erano gioielli a uso delle famiglie più ricche del paese. Molte donne anziane portavano una spilla- fermaglio per reggere il fazzoletto sulla testa e anche una catenella - su giunchìlliu - per meglio reggere il grembiale.
Questi gioielli venivano utilizzati, nei momenti di bisogno, per chiedere denaro in prestito.
Ricordo alcune ragazze che portavano orecchini con pendenti di corallo, ma non ricordo avessero altra funzione che quella puramente ornamentale.
I nostri santi patroni, Santa Prisca e San Sperate, indossavano pochi monili. Questo perché i paesani invocavano altri santi, in particolar modo Santa Greca di Decimomannu e Santa Vitalia di Serrenti.
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L’opercolo del gasteropode Turbo rugosus montato in oro. Per la sua forma, richiamante quella dell’occhio, è divenuto l’amuleto deputato a proteggere gli occhi da ogni male. Nella religione popolare cristiana si ritrova accoppiato a una immagine sacra ed è denominato “occhio di Santa Lucia”.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Ciprea con bordatura in oro laminato e sonagli d’oro. La conchiglia, per la chiara allusione all’organo genitale femminile era considerata in grado di propiziare fertilità; i piccoli sonagli hanno la funzione di allontanare il malocchio e anche il mal d’orecchi.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Ciprea con bordatura in oro laminato e sonagli d’oro. La conchiglia, per la chiara allusione all’organo genitale femminile era considerata in grado di propiziare fertilità; i piccoli sonagli hanno la funzione di allontanare il malocchio e anche il mal d’orecchi.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Sa sabegia, globo in pasta vitrea nera incapsulato in lamina d’oro. Potente amuleto che veniva appuntato sui bambini o nella culla per proteggerli dal malocchio. Tradizionalmente veniva montato in argento: secondo la credenza popolare, infatti, l’oro avrebbe il potere di annullare la carica magica delle pietra. Spesso il potere magico dell’oggetto è rafforzato da elementi in corallo e sonaglini. La rottura della sfera veniva attribuita al fatto che l’amuleto avesse effettivamente protetto dal malocchio la persona che lo portava.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Sa sabegia, globo in pasta vitrea nera incapsulato in lamina d’oro. Potente amuleto che veniva appuntato sui bambini o nella culla per proteggerli dal malocchio. Tradizionalmente veniva montato in argento: secondo la credenza popolare, infatti, l’oro avrebbe il potere di annullare la carica magica delle pietra. Spesso il potere magico dell’oggetto è rafforzato da elementi in corallo e sonaglini. La rottura della sfera veniva attribuita al fatto che l’amuleto avesse effettivamente protetto dal malocchio la persona che lo portava.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Sa sabegia, globo in pasta vitrea celeste incapsulato in lamina d’oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini costituiti da sa sabegia montata in lamina d’oro e piccole perline di corallo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini costituiti da sa sabegia montata in lamina d’oro.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla costituita da sa sabegia montata in lamina d’oro e piccole perline di corallo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla costituita da sa sabegia montata in lamina d’oro e piccole perline di corallo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla costituita da sa sabegia montata in lamina d’oro e piccole perline di corallo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla costituita da sa sabegia montata in lamina d’oro e piccole perline di corallo. Variante con il globo in pasta vitrea celeste.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla costituita da sa sabegia montata in lamina d’oro e piccole perline di corallo. Variante con il globo in pasta vitrea celeste.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente tipico di Oliena chiamato su sole, in lamina e filigrana a giorno; nella parte centrale di questo pendente compaiono di frequente dei simboli (cuore, chiave).
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente tipico di Oliena chiamato su sole, in lamina e filigrana a giorno; nella parte centrale di questo pendente compaiono di frequente dei simboli (cuore, chiave).
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
488600
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Croce in filigrana d’oro.
La lavorazione in filigrana è una tecnica meticolosa e particolarmente accurata. È una tecnica molto antica: se ne trova traccia persino nei ritrovamenti archeologici di pregiati monili e, nonostante secoli di storia e molteplici influenze culturali, affascina ancora oggi gli orafi artigiani.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Croce in filigrana d’oro.
La lavorazione in filigrana è una tecnica meticolosa e particolarmente accurata. È una tecnica molto antica: se ne trova traccia persino nei ritrovamenti archeologici di pregiati monili e, nonostante secoli di storia e molteplici influenze culturali, affascina ancora oggi gli orafi artigiani.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Croce in filigrana d’oro.
La lavorazione in filigrana è una tecnica meticolosa e particolarmente accurata. È una tecnica molto antica: se ne trova traccia persino nei ritrovamenti archeologici di pregiati monili e, nonostante secoli di storia e molteplici influenze culturali, affascina ancora oggi gli orafi artigiani.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Croce in filigrana d’oro.
La lavorazione in filigrana è una tecnica meticolosa e particolarmente accurata. È una tecnica molto antica: se ne trova traccia persino nei ritrovamenti archeologici di pregiati monili e, nonostante secoli di storia e molteplici influenze culturali, affascina ancora oggi gli orafi artigiani.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Croce in filigrana d’oro.
La lavorazione in filigrana è una tecnica meticolosa e particolarmente accurata. È una tecnica molto antica: se ne trova traccia persino nei ritrovamenti archeologici di pregiati monili e, nonostante secoli di storia e molteplici influenze culturali, affascina ancora oggi gli orafi artigiani.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Croce in filigrana d’oro.
La lavorazione in filigrana è una tecnica meticolosa e particolarmente accurata. È una tecnica molto antica: se ne trova traccia persino nei ritrovamenti archeologici di pregiati monili e, nonostante secoli di storia e molteplici influenze culturali, affascina ancora oggi gli orafi artigiani.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Medaglia d’oro ovale con lavorazione in filigrana; raffigura la Vergine con la scritta “V. NOLI ME TOLLERE”.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di foggia tradizionale realizzato con la tecnica della filigrana e inserzioni di pietre, broccati, perle e coralli. Veniva indossato spesso in abbinamento con altri gioielli come, per esempio, su froccu. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rosario in filigrana d’oro e corallo e un crocifisso come parte terminale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Sperate. Edificata nel Cinquecento in stile gotico-catalano presenta una facciata quadrata e merlata; l’interno, a navata unica con cappelle laterali, ha le volte a crociera.
Foto di Giovanni Pilloni.
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La chiesa parrocchiale dedicata a San Sperate. Edificata nel Cinquecento in stile gotico-catalano presenta una facciata quadrata e merlata; l’interno, a navata unica con cappelle laterali, ha le volte a crociera.
Foto di Giovanni Pilloni.
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Reliquiario in argento di foggia barocca in cui si espongono le reliquie dei santi per la venerazione dei fedeli o per dare la benedizione.
Foto di Giovanni Pilloni.
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Reliquiario in argento di foggia barocca in cui si espongono le reliquie dei santi per la venerazione dei fedeli o per dare la benedizione.
Foto di Giovanni Pilloni.
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Spada di San Sperate con le medaglie votive.
San Sperate era un santo guerriero. Durante le processioni in suo onore il santo porta una spada d’argento riccamente decorata. Il fodero di velluto rosso è punteggiato da medaglie di ex combattenti della prima e seconda guerra mondiale donate al santo in voto.Foto di Giovanni Pilloni.
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Spada di San Sperate con le medaglie votive.
San Sperate era un santo guerriero. Durante le processioni in suo onore il santo porta una spada d’argento riccamente decorata. Il fodero di velluto rosso è punteggiato da medaglie di ex combattenti della prima e seconda guerra mondiale donate al santo in voto.Foto di Giovanni Pilloni.
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Contenitore per ostie, aspersorio e calice in argento. L’aspersorio è costituito da un bastoncino di metallo con una sfera traforata e munita di setole e da un secchiello.
Foto di Giovanni Pilloni.
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Cornice d’argento con versi sacri.
Foto di Giovanni Pilloni.
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Assunta Lussu, Maria Brisu e Ivana Spiga con l’abito tradizionale. La donna porta la croce al collo e non appesa a su giunchìlliu come si usava fare, anni Trenta.
Archivio comunale di San Sperate.
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Matrimonio Paulis. La quarta ragazza sulla destra porta, oltre a un grembiale ricamato, un bella croce come atto di devozione, anni Cinquanta.
Archivio fotografico Norma Caboni-Liliana Pilia.
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Coppia di bimbi fotografati con alcuni giochi. La bambina porta al collo un crocifisso, segno di devozione della famiglia, anni Cinquanta.
Archivio comunale di San Sperate.
411600
L’artigianato
- gioielli
-
Mario Pillitu
Testimonianza di Mario Pillitu
La storia della nostra impresa familiare, avviata da nostro nonno, ha veramente inizio con l’attività di rappresentate di nostro padre. Lui partì con una cartoleria e, in particolare, con la vendita di penne, entrando così in contatto con tutte le gioiellerie della Sardegna e, appassionandosi alla nostra tradizione orafa, cominciò a trattare l’oro e il corallo.
Nel 1965 aprimmo la gioielleria a San Sperate. Mario, mio fratello, è stato il primo della famiglia a intraprendere l’arte orafa, imparando il mestiere da un maestro artigiano di Cagliari dove ha lavorato per cinque-sei anni. Oggi abbiamo un’azienda strutturata, con una netta differenziazione tra parte artigianale e commerciale. Lavoriamo con il nostro catalogo in tutta l’isola e il nostro gioiello tradizionale è molto amato e richiesto. È meno ricco il mercato turistico. Questo accade, probabilmente, perché il nostro gioiello ha per noi un valore culturale aggiunto, religioso, scaramantico e non solo di semplice bellezza.
Con il nostro lavoro ci siamo resi conto che la ricchezza dei gioielli, dei dettagli e della loro varietà è direttamente proporzionale alla ricchezza del territorio. Molti gioielli, inoltre, non sono importanti per il loro valore economico, ma rivestono un ruolo fondamentale nella vita sociale di molti paesi. Tra tutti sa sabègia, di origine pagana, è considerato un amuleto potentissimo per difendere la persona dal malocchio. Si dice che la pietra nera, solitamente d’onice, incastonata nel gioiello, arrivi a spaccarsi nel caso qualcuno ci voglia particolarmente male.
Un altro gioiello, bello e interessante, che abbiamo scoperto è l’anello chiamato maninfide - mani in fede. Composto da diversi dischetti di metallo prezioso che si aprono e si richiudono su un cuore, assomigliano a delle mani unite come in preghiera che proteggono e custodiscono il cuore.
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Vetrina della gioielleria Pillitu.
Nella vetrina notiamo vari monili di corallo ritenuto, fin dall’antichità, amuleto preziosissimo, capace di allontanare il malocchio e tutti gli influssi negativi.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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Gioielli tradizionali Pillitu.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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Tipologia di gioielli conteporanei della produzione Pillitu.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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Fede sarda tipica della parte meridionale della Sardegna, realizzata su lamina d’oro, microsfere e foglioline e ritagliata a traforo. Interamente realizzata a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello di foggia maschile realizzato con l’utilizzo di leghe diverse, raffigurante il profilo di un volto maschile con elmo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello quadrato di foggia maschile realizzato con l’utilizzo di leghe diverse, raffigurante il profilo di un volto maschile con elmo.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro, sintesi di creatività e tradizione locale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro. La sua foggia ricorda l’arte dell’intreccio, in particolare sa crobi, il paniere a forma di tronco di cono.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro. La sua foggia ricorda l’arte dell’intreccio, in particolare sa crobi, il paniere a forma di tronco di cono.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro che si chiude con due piccole sfere decorate.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro dalla forma sferica la cui lavorazione ricorda l’intreccio, in particolare i bottoni in cordoncino anni Sessanta.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro dalla forma romboidale la cui lavorazione ricorda l’intreccio, in particolare i bottoni in cordoncino anni Sessanta.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro dalla forma circolare con decorazione floreale, interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Anello in oro la cui forma ricorda la spilla di foggia tradizionale; al centro è incastonato un grosso cristallo di colore verde speraldo. Lavoro di sintesi tra la creatività del gioielliere e l’antica tradizione locale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Prezioso e particolare anello in oro interamente realizzato a mano con finta maglia intrecciata.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bracciale in oro con la lavorazione della tipica fede sarda, microsfere e lamine in oro. Lavoro di sintesi tra la creatività del gioielliere e l’antica tradizione locale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Bracciale in oro con la lavorazione della tipica fede sarda, microsfere e lamine in oro e inserti di corallo. Lavoro di sintesi tra la creatività del gioielliere e l’antica tradizione locale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Collana in oro con tre pendenti in filigrana e lavorazione a spirale. Il gioiello è realizzato con la tecnica della filigrana secondo i modelli della tradizione, ma segue una linea moderna che riesce a conciliare forme nuove e tecnica antica.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Orecchini in filigrana e lavorazione a spirale. Il gioiello è realizzato con la tecnica della filigrana secondo i modelli della tradizione, ma segue una linea moderna che riesce a conciliare forme nuove e tecnica antica.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Pendente di tipica foggia tradizionale del centro Sardegna, con motivo a rombo in oro giallo e bianco, acque marine incastonate e tre piccoli pendenti. Interamente realizzato a mano.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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Pendente tipico di Oliena chiamato su sole, in lamina e filigrana a giorno; nella parte centrale di questo pendente compaiono di frequente dei simboli (cuore, chiave).
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rosario in filigrana d’oro e corallo e un crocifisso come parte terminale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rosario in filigrana d’oro e madreperla e un crocifisso come parte terminale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rosario in filigrana d’oro e granate e un crocifisso come parte terminale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Rosario in filigrana d’oro e un crocifisso come parte terminale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la realizzazione di sa sabegia, potente amuleto contro il malocchio.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Giulio Landis.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la realizzazione di sa sabegia, potente amuleto contro il malocchio.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Giulio Landis.
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Sa sabegia, potente amuleto che veniva appuntato sui bambini per proteggerli dal malocchio. Si dice che la pietra nera incastonata nel gioiello, solitamente onice, si spaccasse nei casi più gravi di malocchio.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla in filigrana e lavorazione a spirale. Il gioiello è realizzato con la tecnica della filigrana secondo i modelli della tradizione, ma segue una linea moderna che riesce a conciliare forme nuove e tecnica antica.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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Spilla vintage in oro in stile liberty e piccole perle incastonate. Lavoro di sintesi tra la creatività del gioielliere e l’antica tradizione locale.
Collezione Pillitu, San Sperate, 2009.Foto di Fabio Pillitu.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giulio Landis.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu durante la fase di pulitura e levigatura dei gioielli. Questa operazione deve essere compiuta periodicamente perché i gioielli col tempo tendono a perdere la loro lucentezza.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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L’artigiano orafo Mario Pillitu mostra una medaglietta votiva dopo la ripulitura.
San Sperate, 2009.Foto di Giovanni Pilloni.
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I gioielli
Nel territorio sansperatino i gioielli tradizionali non erano particolarmente diffusi e ancora oggi continuano a non esserlo; tuttavia è fiorente nel paese, dagli anni Sessanta del secolo scorso, il laboratorio orafo e la gioielleria dei fratelli Fabio e Mario Pillitu che realizzano e commerciano in tutta l’isola alcune importanti tipologie di gioiello sardo documentate nella sezione iconografica. Per trovare qualcosa della tradizione orafa nel territorio bisogna tornare indietro nel tempo.
Le prime testimonianze di arte orafa sono venute alla luce con la scoperta di alcune tombe di epoca romana che hanno restituito memoria del passato in forma di monete, lanterne e pregiati monili. Lo Spano ci informa, in Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna, che nel 1842 fu ritrovato un sarcofago contenente gioielli d’oro.
Varie alluvioni a cavallo tra Ottocento e Novecento hanno flagellato il territorio e, unitamente alle febbri malariche, hanno reso parte della popolazione adulta debole e poco produttiva. Si può facilmente comprendere come, in questo contesto, il gioiello abbia rivestito poca importanza, se non come pura e rara merce di scambio. Anche i tesori custoditi nella chiesa parrocchiale, con il suo povero reliquario e i pochi ex voto confermano la poca attitudine dei concittadini all’uso del gioiello.
La ricerca condotta nel paese, attraverso materiale bibliografico, Internet e testimonianze filmate in italiano e in sardo, anche con studiosi locali, tra cui Vincenzo Porcu, ha confermato la poca diffusione del gioiello sardo dovuto proprio alla povertà atavica di questa micro regione dell’isola e ha evidenziato spaccati di vita e aneddoti relativi all’uso del gioiello che risulta strettamente legato alle tappe significative della vita delle persone.
Durante la ricerca, pertanto, sono stati pochi i gioielli rilevati e di un certo valore storico.
A San Sperate i gioielli erano a uso e sfoggio esclusivo di alcune famiglie benestanti del paese. Essi però non raccontano una specificità sansperatina, ma un gusto riscontrabile anche nei centri limitrofi e in generale nel Campidano di Cagliari. Inoltre, come ci raccontano Rita Ibba e Ida Pillutu nella loro intervista, i gioielli posseduti da una famiglia, soprattutto nel caso della collana, venivano frammentati in più parti per essere ereditati da tutte le donne appartenenti al nucleo familiare, comprese le nuore. Questo comprometteva inevitabilmente il valore economico del gioiello che conservava un valore puramente affettivo, ugualmente importante. Vi erano anche dei gioielli, come ci racconta Salvatore Mossa, che venivano donati ai bambini in quanto si credeva avessero il potere di difendere dal malocchio. L’amuleto più diffuso era sa sabègia.
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