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Delia Atzeni - racconti
Testimonianza di Delia Atzeni
RaccontiLa signora Delia ci parla dei contus de forredda, così chiamati perché venivano raccontati davanti al camino, in genere dal nonno (nannai) o dalla nonna (iaia).
Il primo racconto parla della nascita di Gesù Bambino (Ninnighiteddu), la notte del ventiquattro dicembre.
Quando il re Erode diede l’ordine di uccidere tutti i bambini nati in quell’anno o prossimi alla nascita, Maria con Giuseppe preoccupati per il loro bambino in arrivo, decisero di partire senza meta precisa. Portarono poche cose e un asinello su cui viaggiava Maria. Nel paesaggio nevicato notarono una luce particolare e non capirono se si trattasse di una stella o della luna. Ben presto capirono che era una stella che li indirizzava in una grotta dove trovarono rifugio. Nella grotta c’era un bue cui affiancarono l’asinello, così come raffigurato nel Sacro Presepe. Proprio quella notte nacque su Ninnighiteddu. La mattina seguente quando Maria lavò i panni di Gesù, chiese a Giuseppe di stenderli fuori poiché non ne possedevano altri; poiché intorno era pieno di neve, Giuseppe scosse una pianta con il proprio bastone per buttar giù la neve e lì vi stese i panni. Quando Maria uscì dalla grotta si accorse che i panni erano già asciutti e accarezzando la pianta disse:
“Pranta santa, benedita ses de sa manu mia, as a portai frutu in dònnia tempus”.
(Pianta santa benedetta, dalle mie mani, porterai frutto in ogni stagione).
La pianta del corbezzolo (olioni) porta frutti in ogni stagione dell’anno.Il secondo racconto è quello della notte di San Silvestro, quando le giovani fanciulle (bagadieddas) prendevano ramoscelli di mirto (murta) pieni di bacche e allo scattare della mezzanotte li passavano tra le fiamme. Le bacche si staccavano e cadevano. Chi riusciva ad afferrarle mentre cadevano giù si sarebbe fidanzata, se nubile, o sposata, se promessa sposa, entro l’anno.
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Giovanni Atzeni - altri tempi
Testimonianza di Giovanni Atzeni
Altri tempiIn passato, nonostante le gravose condizioni di povertà, il signor Giovanni e la sua famiglia riuscivano a condurre una vita discreta. Sin da piccoli ci si avvicinava al mondo del lavoro; le mansioni maggiormente richieste riguardavano il pascolo di animali (pecore, maiali e buoi), il coltivare la terra e il curare i vigneti di proprietà della famiglia. Questo evidenzia la situazione dell’epoca, in cui era molto più importante avere la manodopera rispetto all’istruzione scolastica che, infatti, non era obbligatoria.
Il signor Giovanni ci racconta, inoltre, della difficoltà negli spostamenti dal paese. Per raggiungere Cagliari, ad esempio, era necessario recarsi a piedi all’alba nel paese di Donori, distante qualche chilometro, e da lì prendere il treno. -
Giovanni Atzeni - l’aereo caduto
Testimonianza di Giovanni Atzeni
L’aereo caduto a Pranu de PisciGiovanni Atzeni racconta del 10 febbraio del 1942 quando precipitò un S79 dell’Aeronautica militare sulle colline che circondano Sant’Andrea Frius. La mattina seguente all’incidente, diffusasi la notizia, gli abitanti del paese salirono sull’altopiano per manifestare la propria solidarietà. Il signor Giovanni, allora militare, venne informato dell’accaduto da un amico. Il padre, Fulgenzio Atzeni, andò con i buoi e il carro a recuperare le salme. Nell’altopiano chiamato Pranu de Pisci c'è oggi una croce in ferro arrugginita, alta circa un metro, con l’incisione della data 10.02.1942.
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Savina Casula - altri tempi
Testimonianza di Savina Casula
Altri tempiLa signora Savina ricorda di quando era giovane. Racconta che erano tempi difficili, ma la sua famiglia non viveva in condizioni di estrema miseria perché il padre, contadino e allevatore, assicurava alla famiglia tutto il necessario.
Durante la seconda guerra mondiale la signora Savina lavorava in un collegio femminile a Cagliari. Durante i bombardamenti, insieme alle suore e alle ragazze, si rifugiava nel sotterraneo del collegio. Quando venne preso di mira anche il collegio fu costretta ad abbandonare il lavoro e a fare ritorno a casa.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius innevato.
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Ingresso di una casa tipica sant’andriese con doppio arco, fine Ottocento.
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Casa tipica sant’andriese, fine Ottocento.
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Casa tipica sant’andriese, fine Ottocento.
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Copertura di una casa tipica sant’andriese di fine Ottocento.
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Casa tipica sant’andriese in via Meucci, fine Ottocento.
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Casa antica sant’andriese in via Cavour, zona storica del paese.
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Murales in via Garibaldi.
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Chiesa di Sant’Andrea Apostolo, ricostruita negli anni Cinquanta su una preesistente del Settecento.
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Mosaico policromato sul frontone della facciata della chiesa di Sant’Andrea Apostolo.
Nel mosaico è raffigurato il santo titolare in atto di pescare e rappresenta l’episodio del vangelo in cui Gesù sceglie gli apostoli per l’evangelizzazione.
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Colonna con la statua della Madonna del Carmelo, anni Sessanta.
La colonna è stata fatta erigere dal medico condotto del periodo, il dottor Pibiri, nella casa di Giovanni Aru, in via Garibaldi.
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Crocifisso in legno, affisso per le vie del paese, indicante una delle quindici stazioni della Via Crucis.
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Anziani seduti in piazza Roma, 2011.
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Uomo di campagna, legato alle vecchie tradizioni.
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Piazza San Pio da Pietrelcina.
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Piazza Roma, prima della ristrutturazione.
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Piazza Roma, prima della ristrutturazione.
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Bar, ristorante e pizzeria Su Nuraxi.
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Piazza dei caduti.
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Sa cruxi santa in via Libertà.
In ricordo dei missionari che arrivavano in paese negli anni 1925, 1960, 1966.
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Via Libertà.
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Via Libertà innevata.
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La chiesetta campestre dedicata a Nostra Signora di Bonaria prima della riedificazione.
La chiesa si trova in un piccolo colle alla periferia del paese, sulla strada per Cagliari.
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La chiesetta campestre dedicata a Nostra Signora di Bonaria dopo la riedificazione del 1963.
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Un mesoni (ovile) in località Terra de Antini.
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Un mesoni (ovile) in località Terra de Antini.
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Mielificio sulla strada per Cagliari.
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Sa cadira de s’aremigu.
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Parco comunale Giadrinu, così chiamato perché anticamente era un grande frutteto.
Si intravede la nicchia, costruita nel 1997, in onore di Sant’Isidoro.
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Parco comunale Giadrinu, così chiamato perché anticamente era un grande frutteto.
Si intravede la nicchia, costruita nel 1997, in onore di Sant’Isidoro.
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Parco comunale Giadrinu.
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Rimboschimento della zona di Su Cappucciu, sulla statale 387 verso Cagliari.
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Ingresso di una grotta nelle campagne intorno al paese.
Questa grotta era un rifugio durante i bombardamenti.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna in località Coxinas.
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Campagna in località Coxinas.
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Campagna in località Coxinas.
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Il rio Coxinas, a sud del paese.
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Cavalli al pascolo nell’altopiano di Pranu de Sànguni.
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Resti della casa del colonnello (sa domu de su coronellu) nell’altopiano di Pranu de Sànguni, primi Ottocento.
Si racconta che il colonnello Virdis di Sassari avesse ricevuto dal comune, come premio per aver fatto la guerra, dei terreni da coltivare. Lui piantò alberi da frutta, impiantò vigneti, ma ostacolò il pascolo al brado dei pastori di Sant’Andrea, San Nicolò e San Basilio. Alcuni dicono che morì in un agguato, altri che, riuscì a fuggire ferito nascosto in un carro pieno di fieno, ma morì poi di cancrena.
Oggi rimangono solo i resti della sua abitazione e il portone, che si trova in una casa del paese.
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Resti della casa del colonnello (sa domu de su coronellu) nell’altopiano di Pranu de Sànguni, primi Ottocento.
Si racconta che il colonnello Virdis di Sassari avesse ricevuto dal comune, come premio per aver fatto la guerra, dei terreni da coltivare. Lui piantò alberi da frutta, impiantò vigneti, ma ostacolò il pascolo al brado dei pastori di Sant’Andrea, San Nicolò e San Basilio. Alcuni dicono che morì in un agguato, altri che, riuscì a fuggire ferito nascosto in un carro pieno di fieno, ma morì poi di cancrena.
Oggi rimangono solo i resti della sua abitazione e il portone, che si trova in una casa del paese.
Foto di Bruno Atzori.600431
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Portone tipico di una casa sant’andriese, via Libertà.
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Portone tipico di una casa sant’andriese, via Libertà.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Portone del vecchio asilo.
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Ingresso di una casa con portale in legno, con grande arco lavorato e sagomato.
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Ingresso di una casa con portale in legno, con grande arco lavorato e sagomato.
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Portone, primi Ottocento.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Ingresso di una casa con arcata di fine Ottocento.
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Ingresso di una casa con arco lavorato e sagomato.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Ingresso della bottega de su ferreri Luigi Mereu, via Verdi.
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Maschera utilizzata dai cavalieri durante la manifestazione. A sinistra è raffigurato un drago, in ricordo della leggenda che racconta di un drago ucciso da San Giorgio nell’altopiano di Pranu de Sànguni.
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Maschera utilizzata dai cavalieri durante la manifestazione. A sinistra è raffigurato un drago, in ricordo della leggenda che racconta di un drago ucciso da San Giorgio nell’altopiano di Pranu de Sànguni.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata su fusti.
Viene legato un bastone (su fusti) alla sella del cavallo per permettere a un cavaliere di salire sulle spalle degli altri due compagni che guidano i cavalli.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata il ponte.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata sa funi.
Viene legata una fune alla sella del cavallo per permettere a due cavalieri di tenersi in equilibrio.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata sa funi.
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Giovanissimo cavaliere al galoppo nella pariglia cuaddu solu.
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Cavalieri durante la manifestazione.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Il drago che i cavalieri devono trafiggere con la spada.
Foto di Pinna Marcella.600600
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Daniele Deidda, primi Novecento.
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L’uomo con la sciabola è Claudio Cossu, alla sua sinistra Rita Dedoni, l’uomo con la cravatta è il segretario comunale, davanti a lui, seduta, sua moglie Angelina Cocco, primi Novecento.
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Anna Giuseppa Cappai, primi Novecento.
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Eugenio Melis, primi Novecento.
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La famiglia Callai, primi Novecento.
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Irene Pia, primi Novecento.
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Barbara Serra, primi Novecento.
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Aru Angelo, ritratto di matrimonio, primi Novecento.
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Foto di famiglia, primi Novecento.
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Fulgenzio Atzeni in abiti militari, 1912.
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Delia Atzeni fra le braccia della mamma Chiara Meloni, in posa per una foto ricordo da inviare al padre Fulgenzio Atzeni, richiamato al fronte, 1915.
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Fulgenzio Atzeni, 1915.
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Foto di gruppo, prima guerra mondiale.
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Delia Atzeni, 1917.
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Giovanni Aru, soldato nella prima guerra mondiale.
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Delia Atzeni con i genitori Chiara Meloni e Fulgenzio Atzeni, 1917-18.
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Francesco e Fulgenzio Atzeni, 1919.
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Bissenti Cocco, anni Venti.
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Teresa Mulargia, 1920.
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Giuseppe Fanunza con la moglie Vitalia Mulargia, 1920.
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Foto di famiglia, 1920.
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Antonio Meloni, 1920.
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Gruppo di amici, 1920.
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Foto di coppia, anni Venti.
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Foto di famiglia, 1920.
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La piccola Savina Casula in braccio alla mamma Peppeda Lallai, 1920.
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Sa prentzadura (la torchiatura), anni Venti.
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Giovanni Cappai, alle spalle si intravede Ciccitu Cocco, 1924.
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Foto di famiglia, 1924.
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Foto di tre bambine, 1924.
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Adele Paderi con le tre figlie, anni Venti.
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Foto di famiglia, 1926.
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Giuseppe Meloni, anni Venti.
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Marcello Cappai col fratello Francesco, anni Venti.
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Giuseppe Cappai e Rita Dedoni con i figli Francesco, Mario e Giovanni, anni Venti.
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Fiorenza Cocco, 1920.
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La classe di prima elementare nell’anno scolastico 1927-28.
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La classe di terza e quarta elementare nell’anno scolastico 1929-30.
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Gruppo di donne, 1929.
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Gruppo di amici, anni Trenta.
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Gruppo di amici, anni Trenta.
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Campo militare, anni Trenta.
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Maria Mulargia, anni Trenta.
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Virgilio Pinna con la divisa militare, anni Trenta.
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Agata Meloni, anni trenta.
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Giuseppe Atzeni, noto Peppino, militare maniscalco, anni Trenta.
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Giovanni Atzeni, anni Trenta.
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Da sinistra, Maria Mulargia, Gesuina Sulis, Tina Cossu e, seduta, Antonia Melis, anni Trenta.
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Il primo a sinistra è Virgilio Pinna, anni Trenta.
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Giuseppe Aru, anni Trenta.
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Foto di famiglia, anni Trenta.
In alto da sinistra, Giuseppe Aru e Antonio Meloni noto “Antonicu”, in basso si riconoscono, Assunta Meloni, Agatina Meloni, Ida Meloni con la mamma Luigia Aru, nota “Laurina”.
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Luigia Aru, nota “Laurina”, anni Trenta.
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Antonino Aru, 22 settembre 1932.
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Giuseppe Aru, 25 dicembre 1936.
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Antonino Aru, 19 febbraio 1937.
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Angelo Aru, anni Trenta.
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Zappatori dell’azione cattolica, 1937.
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Piccoli Balilla in un raduno del 1938.
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Paolina Marcia con il figlio Giuseppe Aru, anni Trenta.
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Mansueto Casula con il cognato Giuseppe Aru, anni Trenta.
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Il gruppo delle “circoline” dell’azione cattolica.
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Gruppo di amici; si riconoscono Antonio Mulargia e Teodato Fadda, anni Trenta.
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I coniugi Eugenio Melis e Teresa Mulargia con i loro figli, 1939.
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Gruppo di donne di Sant’Andrea Frius, 1939.
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Delia Atzeni nel giorno del suo matrimonio con Luigi Mascia, 20 novembre 1938.
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Antonino Atzeni, anni Trenta.
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Contadini al lavoro nei campi, 1937.
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Teresa Mulargia con alcune delle figlie, anni Trenta.
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Giuseppe Atzeni soldato in Abissinia negli anni 1937-38.
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Fotomontaggio, Giuseppe Aru e, in basso, il padre Angelo, anni Quaranta.
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Giuseppe Aru, 11 agosto 1940.
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Giuseppe Aru con un amico, 10 novembre 1941.
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Giuseppe Aru, 20 maggio 1940.
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Antonino Aru, 4 aprile 1940.
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Antonietta Melis, anni Quaranta.
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Delia Atzeni nel cortile di casa con il piccolo Antonio Mascia, 1940.
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Giovanni Atzeni in divisa militare, anni Quaranta.
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Ederina Callai e Giuseppina Mulargia, anni Quaranta.
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Maria Teresa Schirru, anni Quaranta.
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Rodolfo Pinna, bersagliere durante la seconda guerra mondiale.
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Rodolfo Pinna, bersagliere durante la seconda guerra mondiale.
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Virgilio Pinna, militare durante la seconda guerra mondiale.
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Clementina Putzu con le figlie Vitalia e Gina, 1942.
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Gruppo di militari durante la seconda guerra mondiale a Tripoli.
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Militari ritratti a Tripoli durante la seconda guerra mondiale.
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Gruppo di ragazze. Si riconosce, a sinistra, Savina Casula, anni quaranta.
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Mansueto Casula nel giardino con il cognato Giuseppe Aru e il fratello Ubaldo Casula, anni Quaranta.
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Un’auto greca trasporta feriti durante la seconda guerra mondiale, 28 ottobre 1940.
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Ricordo dei caduti nella seconda guerra mondiale, 05 luglio 1940.
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Salvatore Mameli con la divisa militare, anni Quaranta.
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Gruppo di militari durante la seconda guerra mondiale.
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Celebrazione di una messa al fronte, seconda guerra mondiale.
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Gruppo di militari; il primo a destra è Giuseppe Aru, 1940.
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Gruppo di militari; il primo a destra è Giuseppe Aru, 2 agosto 1940.
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Giuseppe Aru noto Peppino con la divisa militare, 1941.
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Giuseppe Aru durante la seconda guerra mondiale.
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Giuramento dell’aviere Giovanni Atzeni all’Aeronautica Militare, 1941.
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Giovanni Atzeni e Antonia Melis, primi anni Quaranta.
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Giovanni Atzeni durante la seconda guerra mondiale.
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Eligio Casula con la sorella Matilde, suora di carità dell’ordine di San Vincenzo, primi anni Quaranta.
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Eligio Casula, anni Quaranta.
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Antonio Atzeni, 19 agosto 1941.
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Palmira Espa e Giovanni Cannas, 1941.
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Soldati durante una esercitazione; si riconosce Giuseppe Aru.
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Gruppo di militari; si riconosce Giuseppe Aru.
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Gruppo di militari; l’uomo con l’elmetto è Giuseppe Aru.
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Giovanni Atzeni con la compagna Antonia Melis, anni Quaranta.
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Giuseppe Aru nel deposito di Gesico.
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Giuseppe Aru nel deposito di Gesico.
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Antonio Atzeni, anni Quaranta.
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Assunta Casula con i fratelli Mansueto e Savina, anni Quaranta.
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Antonia Melis, 26 maggio 1940.
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Gruppo di amici; si riconoscono Giovanni Atzeni, Ninnu Montisci e Raffaele Puddu, 1948.
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Giovanni Aru con gli amici in una battuta di caccia, anni Quaranta.
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Foto di famiglia; da sinistra Giuseppe Aru con il padre Angelo e il fratello Giovanni, in alto a sinistra, la madre Paolina Marcia, anni Quaranta.
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Alfredo Palmas con la divisa militare, anni Quaranta.
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Giovanni Secci, noto Giuannicu, con la moglie Antonia Serra, ritratti a Pranu de Sànguni, anni Quaranta.
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Giorgino Melis, Mansueto Casula e Francesco Cappai, anni Quaranta.
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Giovani soldati, anni Quaranta.
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Foto di gruppo, 1948.
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La famiglia Atzeni, 21 maggio 1950.
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Francesco Atzeni con le nipoti Maria Rita e Ferdinanda Atzeni, anni Cinquanta.
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Spettacolo del circo a Sant’Andrea Frius, anni Cinquanta.
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Gruppo di amici nella via Cagliari a Sant’Andrea, anni Cinquanta.
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Le spigolatrici, anni Cinquanta.
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Squadra di calcio, primi anni Cinquanta.
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Pietro Mura e Fulgenzio Atzeni, anni Cinquanta.
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Bambino col girello, 1951.
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Bambini dell’asilo, anni Cinquanta.
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Gruppo di anziani, anni Cinquanta.
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Antonio Atzeni, anni Cinquanta.
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Peppeda Lallai con la figlia Matilde Casula, suor Stefania, anni Cinquanta.
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Eligio e Ubaldo Casula con la mamma Peppeda Lallai, anni Cinquanta.
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Da sinistra Antonio Mascia, Fulgenzio Atzeni e Chiara Meloni, in piedi si riconoscono, Luigi Mascia e Delia Atzeni, 1954.
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Giovanni Atzeni col figlio Marcello, fine anni Cinquanta.
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Fulgenzio Atzeni, anni Cinquanta.
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La classe di terza elementare, 1959.
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Antonio e Fulgenzio Atzeni, anni Cinquanta.
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Anna Maria Aru e la sorella minore Maria Pina, fine anni Cinquanta.
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Matilde Casula con i nipoti Marcello, Anna Maria e Maria Pina Aru e Grazietta e Augusto Casula, anni Sessanta.
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Sergio Pinna, anni Sessanta.
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Sergio Pinna, anni Sessanta.
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Sergio Pinna, anni Sessanta.
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Squadra di calcio, anni Sessanta.
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Preparativi per un matrimonio, anni Sessanta.
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Operai intenti ad asfaltare la strada Sant’Andrea Frius-Senorbì, anni Sessanta.
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Foto di gruppo, 1960.
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Giovani in mesuidda (nel centro del paese), anni Sessanta.
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Foto ricordo della celebrazione della festa dei caduti, anni Sessanta.
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Savina Casula con le figlie Anna Maria e Maria Pina, anni Sessanta.
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Classe dell’asilo, anni Sessanta.
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Savina Casula con il marito Giuseppe Aru e figli Anna Maria, Angelo e Maria Pina, anni Sessanta.
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Marcello, Pierpaolo, Anna Maria e Maria Pina Aru, anni Sessanta.
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Giovanni Aru, anni Sessanta.
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Giuseppe Aru e Savina Casula con il figlio Angelo, anni Sessanta.
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Foto di gruppo, anni Sessanta.
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In mesuidda (nel centro del paese), anni Sessanta.
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Donne con is marigas in testa.
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Ragazze nello spiazzo dell’attuale Piazza Roma.
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Donne intente a fare il bucato.
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Donna intenta a fare il pane.
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Foto ritratto.
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Foto ricordo della leva militare.
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Foto ritratto di coppia.
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Foto di famiglia.
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Foto ritratto; la donna porta degli orecchini con pendenti.
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Foto ricordo della leva militare.
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Foto di famiglia.
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Foto ritratto.
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Giampaolo Cocco (classe 1825) indossa il costume tradizionale: berretta, fazzoletto annodato sotto il mento (forse indica un lutto), camicia bianca, corpetto con abbottonatura centrale, giacca, calzoni bianchi a gonnellino e ghette.
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Donna con bambino.
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Foto di famiglia.
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Il pranzo dopo la tosatura delle pecore.
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Foto di famiglia.
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Foto ritratto; la donna porta degli orecchini circolari.
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Foto di famiglia.
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Foto di famiglia.
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Foto di gruppo.
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Foto di gruppo; sullo sfondo si intravede l’antica chiesa di Sant’Andrea apostolo.
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Foto ricordo della leva militare; l’uomo indossa un anello.
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Foto ricordo di un bambino.
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Gruppo di anziani del paese.
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Foto di gruppo; si riconoscono il parroco don Mascia e padre Marcello.
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Foto ricordo della leva militare.
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Barbara Fanunza.
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Foto ricordo sul carro a buoi.
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Su gueteri Ubaldo Vacca, famoso in tutto il circondario per i bellissimi fuochi d’artificio che produceva. La sua bottega era in via Grazia Deledda.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Autorizzazione comunale per l’accensione dei fuochi d’artificio in onore dei festeggiamenti della Madonna dell’Assunta.
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Campanaccio antico.
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Museruola per buoi (sa sportìzia) utilizzata per impedire che i buoi mangiassero mentre aravano.
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Sa musiera, un altro tipo più recente di museruola per buoi.
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Il giogo dei buoi (su giuali) utilizzato per tenere legati i buoi nei lavori sui campi.
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A sinistra, il ferro che veniva messo ai buoi; a destra, un oggetto utilizzato per pulire e raschiare il ferro dal fango dopo che il bue arava.
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Oggetto utilizzato nei cavalli e nei buoi.
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Su crabistu, veniva messo nel collo dei vitelli durante lo svezzamento.
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Oggetto utilizzato per catturare le volpi, per evitare che mangiassero il bestiame.
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Oggetto utilizzato per catturare le volpi, per evitare che mangiassero il bestiame.
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Le falci venivano utilizzate nei lavori contadini, per tagliare le spighe, l’erba; la più piccola per tagliare le canne del ruscello.
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La roncola (su cavunatzu) utilizzata per tagliare la legna.
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Sa sàsua utilizzata per prendere la farina dal sacco.
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Le forbici per tosare le pecore.
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Oggetti antichi utilizzati in campagna.
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Giovanni Atzeni, intervistato nel corso della ricerca.
Foto di Claudia Castellano.600400 - images/morfeoshow/oggetti_trad-2050/big/016 oggetti_saf.jpg
Caffettiera antica.
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Ferro da stiro antico.
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Cestini utilizzati dalle massaie.
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Su lacu, utilizzato un tempo per dar da mangiare agli animali.
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Sa moba, la macina in pietra utilizzata per macinare il grano con l’aiuto dell’asinello.
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La carrucola (sa tallora).
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Is francas, utilizzata per recuperare le cose cadute nel pozzo.
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Su barribi, veniva riempito di acqua o di vino e portato in campagna quando si andava a lavorare.
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Su carru, il carro dei buoi.
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Sant’Andrea Frius
Situato nel cuore di un paesaggio aspro, ma di singolare bellezza, Sant’Andrea Frius (280 metri sul livello del mare, circa 1840 abitanti) è un piccolo centro rurale la cui popolazione è ancora molto legata alle tradizioni.
Il territorio comunale si estende per circa quaranta chilometri quadrati: si tratta di una regione collinare al confine tra Trexenta e Gerrei dove i terreni appaiono coltivati a vigneti, uliveti e frutteti. A sud del paese troviamo il rio Coxinas, a nord il rio Cirras, entrambi affluenti del rio Mannu che confluisce nello stagno di Cagliari. Le valli del rio Cirras sono inconfondibili per la particolarità del loro paesaggio aspro e selvaggio, ricco di macchia mediterranea. Di singolare bellezza sono i vasti panorami sul Gerrei, sul Parteolla e sul Campidano.
L’abitato affonda le sue radici in epoca punica, periodo in cui era un centro molto importante, sia militarmente che economicamente, perché data la sua posizione geografica era la seconda stazione per grandezza lungo il tracciato che da Cagliari portava a Isili, quindi verso il centro dell’isola. Ma nel centro abitato sono state rinvenute testimonianze della presenza umana fin dal periodo prenuragico e nuragico: i nurgahi Is Piagas, Mannu, Monte Uda e Montroxu.
Il territorio era popolato anche in epoca romana: sono state individuate, infatti, del periodo romano, alcune ville rustiche in diverse località. Importante è il sito archeologico di Linna Pertunta, dove sono stati trovati i resti di un edificio a pianta rettangolare di epoca punica-romana, costituito da grossi blocchi squadrati, accostati a secco. Gli scavi hanno permesso, inoltre, di ritrovare ex-voto in terracotta riproducenti parti del corpo umano di diversa grandezza e gioielli di vario tipo. Il materiale ritrovato è oggi custodito nel museo archeologico di Cagliari. Nel periodo romano il centro aveva la funzione di difesa dalle invasioni barbaricine.
Nel Medioevo il toponimo era semplicemente Frius ed era incluso nella curatoria della Trexenta che faceva parte del Giudicato di Calari (Cagliari). Con la conquista aragonese dell’isola nel quattordicesimo secolo passò sotto la giurisdizione feudale della famiglia degli Alagon, marchesi di Villasor. Il centro fu abbandonato attorno alla metà del Seicento a causa di una pestilenza, ma rinasceva già alla fine dello stesso secolo attorno alla chiesetta campestre di Sant’Andrea. Da questo momento il toponimo incluse anche Sant’Andrea. Nel 1848 il comune di Sant’Andrea Frius fu incluso nella provincia di Cagliari.
Di particolare interesse è la chiesa parrocchiale dedicata a Sant’Andrea apostolo, ricostruita su una preesistente del Settecento e oggi arricchita da un mosaico policromato sul frontone della facciata, dove è raffigurato il santo titolare in atto di pescare. La nuova chiesa venne edificata, in stile moderno, subito dopo la demolizione della precedente nel 1957, ma a parti invertite (la facciata dà ora verso via Garibaldi invece che su via Cagliari) e aperta al culto la notte di Natale del 1958 dal parroco don Salvatore Mascia. I lavori vennero ultimati nei primi anni Sessanta. Nel campanile troviamo le campane della vecchia chiesa: una era stata offerta, nell’ottobre del 1952, dal signor Mauro Casu, l’altra era stata rifusa sempre nel 1952 a spesa della parrocchia.
La parrocchiale, con navata unica centrale e transetto laterale, è molto più spaziosa della precedente. Nell’abside, dietro l’altare maggiore, era stata costruita una struttura in pietra a bella vista, ma maldestramente verniciata, con al centro la nicchia per il simulacro del santo patrono. Nel 1992 la struttura è stata eliminata ed è stata rimossa anche la balaustra in marmo per ampliare il presbiterio. Nel 1995 l’abside è stata interamente ricoperta da una pittura murale di Paolo Manca di Vallermosa raffigurante il cenacolo con la discesa dello Spirito Santo.
Le strade di Sant’Andrea Frius si animano vivacemente in occasione della festa di Sant'Andrea, sa festa manna dedicata al santo patrono, che si svolge a fine novembre. In tale occasione Sant’Andrea Frius accoglie numerosi fedeli provenienti dalla Trexenta e del Gerrei che si uniscono agli abitanti del paese per creare una folta processione verso la parrocchiale. Il patrono Sant’Andrea viene festeggiato anche alla fine di maggio insieme a Sant’Isidoro. Alle celebrazioni religiose si accompagnano manifestazioni civili con canti e balli in piazza.
Sulla strada verso Senorbì troviamo piazza Roma, chiamata anche pratza Funtanedda. Gli anziani ricordano che viene chiamata così perché prima c’era una fontanella e un abbeveratoio per gli animali (sa pica). Una volta, in questa piazza, venivano celebrate le feste, si facevano comizi elettorali e mercati. Tutte le vie del paese ruotavano e ruotano tuttora attorno a questa piazza.
Vicino a piazza Roma troviamo via Michelangelo (bia Santa Marta) dove troviamo il frantoio oleario della famiglia Atzeni. Via Garibaldi (bia de Senorbì), la strada principale che fiancheggia piazza Roma, era attraversata da un canale (sa cora) che raccoglieva le acque piovane e arrivava fino via IV novembre.
Il vicinato più antico e popolato era in via IV novembre (sa cora de pareta, piccolo sentiero). Le case erano piccole, numerosissime e avevano, quasi tutte, cortili in comune. Sulla destra troviamo via Diaz, chiamata anche bia Crabili Bèciu (vecchio ovile di capre) perché, in questa via, si stanziarono le prime persone che praticavano la pastorizia. Oggi viene chiamata anche su matroxu perché qui venne ammazzato un esattore delle tasse, dopo essere stato derubato. Il vicinato più esteso era chiamato Cùcuru de forru. Aveva infatti la forma di una collina arrotondata, proprio come il forno di un tempo. Comprendeva le vie Giovanni XXIII, via Leonardo Da Vinci (sa fogaia), via Colombo, via Vespucci, via Meucci. Via Piave (funtana coberta) era importante per il pozzo coperto utilizzato per l’approvvigionamento idrico delle famiglie. Oggi troviamo solo il tombino. Continuando per via Piave si arriva in via Marconi (bia Is lachitus): questa era la via dei notabili. Era una strada lastricata e veniva attraversata anche dagli animali.
Sulla strada statale 387, verso San Nicolò Gerrei, troviamo l’altopiano di Pranu de Sànguni (pianoro del sangue), così chiamato per la presenza dei fiori che durante il periodo primaverile assumono una tenue colorazione rossastra. Si narra anche che la vegetazione assunse questo colore a causa del sangue di un drago ucciso da San Giorgio. Da questa leggenda, il 24 maggio 1991, nacque l’ispirazione per la fondazione dell’Associazione ippica “Cavalieri di San Giorgio”, che ogni anno per carnevale organizza la “Corsa al drago e pariglie” a cui partecipano cavalieri da tutta la Sardegna.
Sempre sulla statale 387, verso Cagliari, troviamo la zona di Su Capuciu, un’estensione di alti e bellissimi alberi che ricoprono l’intera collina. Troviamo anche il parco comunale Giardinu, così chiamato perché anticamente era un grande frutteto. A Giardinu troviamo una nicchia, costruita nel 1997, in onore di Sant’Isidoro. Il santo, patrono dei contadini e dei pastori, viene festeggiato, insieme a Sant’Andrea, nell’ultima settimana di maggio. Non si conosco le origini della festa di Sant’Isidoro, ma pare sia nata per iniziativa dei pastori che, per finanziarla, offrivano tutto il latte munto in una giornata particolare chiamata “sa muda”. Col passare del tempo tutta la popolazione ha iniziato a contribuire alla realizzazione della festa religiosa e civile. La processione con il simulacro del santo viene arricchita dalle tracas, da trattori con addobbi floreali, da cavalieri in costume e da sonadori de launeddas che sfilano per le vie del paese.
La sagra del mandorlo, l’ultima settimana di agosto, attira numerosi visitatori che possono degustare tanti prodotti a base di mandorle. Nella prima settimana di settembre si celebra la festa di Nostra Signora di Bonaria alla quale è dedicata la chiesa campestre edificata nel 1963 grazie a una donazione di Narciso Cocco. La chiesa si trova in un piccolo colle alla periferia del paese, sulla strada per Cagliari.
Approfondimenti
Il pavimento era in mattonelle di cemento. Il pulpito era di marmo e collocato sul lato sinistro. All’ingresso c’erano due pile di marmo per l’acqua benedetta che si trovano ancora oggi nella chiesa nuova.
Un campanile a vela, era situato, sul tetto, sul lato sinistro della facciata. Quando cadde il campanile, prima della ricostruzione della nuova chiesa, le campane furono sistemate provvisoriamente all’esterno della porta dell’oratorio, sostenute da pilastri.
La facciata in pietra era ornata da lesene verticali leggermente sporgenti. C’era il portone centrale, in legno verniciato, nella parte superiore vi era una finestra rettangolare. Il piazzale circostante era chiuso da muraglioni in pietra, privi di intonaco, l’ingresso anticamente era chiuso da un cancello in ferro.
Goccius in onore del santo patrono
Oh celesti difensori, de su Renniu Suberanu, prega po su cristianu, Sant’Andria intercessori.
De Betania in terra santa, nasciast, o legiadru fiori, a s’arti e su piscadori ti donasti, o bella pianta.
Ma medas de gaia narànt, ca iast a andai cun su Sennori!
Mentris fiast pischendi, in su largu cun Simoni, ecu un’òmini chi angioni, ses mostrau predichendu.
E de Giuanni batiendu, in su Giordanu cun ardori. Prega po su cristianu, Sant’Andria intercessori.
Custa crèsia parrocchiali, est a tui dedicada, fai chi siat frecuentada, e liberu de dònnia mali
spirituali e temporali, siat su populu benidori. Prega po su cristianu, Sant’Andria intercessori.
Testimonianze degli anziani del paese riferiscono di alcune vicissitudini del periodo intorno alla seconda guerra mondiale. Ricordano che ancora prima che scoppiasse la guerra erano costretti a iscriversi e osservare ciecamente le regole del partito fascista, che li costrinse persino a consegnare in modo ingannevole l’oro che possedevano, dicendo che servisse per la patria. In paese veniva il prefetto da Cagliari accompagnato dal rappresentante del fascio. Ogni paese aveva il suo. Durante la guerra il prefetto sequestrava grano, fave e ceci; a loro venne consegnata una tessera che dovevano timbrare ogni quindici giorni e consentiva di ritirare in bottega: un chilo di farina, cento grammi di zucchero e cento grammi di pasta a persona, un panetto di sapone a famiglia. Non potevano possedere niente, chi aveva l’orto riusciva a tirare avanti, ma la maggior parte delle persone non aveva niente. Se avevano un maiale, prima di macellarlo, dovevano avvisare il prefetto che se ne prendeva più della metà. La popolazione macinava il grano la notte di nascosto con la macina in pietra (sa mola), ma quando furono scoperti venne sigillata. Per sfuggire alla fame riempivano dei cestini (is salinas) di grano, fave e ceci e li nascondevano sotto la legna o sotto il letame.
Ma vi è un altro episodio che si ricorda con molta commozione in paese.
Il 10 febbraio del 1942, a Pranu de Pisci, nei monti al confine con Dolianova, cadde un aereo militare che trasportava sei soldati. Era una notte turbolenta e sicuramente l’aereo sbagliò rotta e finì contro le rocce. La mattina seguente gli abitanti di Sant’Andrea salirono sul monte in una sorta di processione; le donne col fazzoletto nero in testa, vestite a lutto perché anche i loro cari erano in guerra, gli uomini con i carri trainati dai buoi per recuperare le salme che furono portate a casa dei Cocco all’entrata del paese. Lì si recò anche il sacerdote per la benedizione e, successivamente, arrivarono anche le macchine militari per prelevare i corpi dei soldati e riportarli alle rispettive famiglie.
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